Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "N. 5", in: La Gazzetta Veneta, Vol.1\005 (1760-02-20), ediert in: Ertler, Klaus-Dieter (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.2064 [aufgerufen am: ].


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N.o 5.

Mercoledì addi 20. Febbraio 1760.

Gazzetta Veneta

Che contiene

Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.

Ebene 2► Metatextualität► Andando agli stabiliti posti ne’giorni passati ultimi del Carnovale, a ricogliere le notizie da mettere nel presente Foglio, fui tenuto per lunatico, a credere, che in giorni tali, con la giunta della pioggia, e del vento, le persone volessero mandar polizze di case da fittare, di robe da vendere, o desiderate, e d’altre faccende. S’io ne domandava agli amici, mi ridevano in faccia. L’uno dicea: mettivi, che s’è perduto molti danari alla bassetta, che diversi cervelli non si trovano più: che le case sono tutte da fittare, perchè le genti sono a Teatri; e c’è anche una novità, che Mercoledì sarà Quaresima; che finiscono le maschere; io mi stringeva nelle spalle, e voltato via, mi sentiva a ghignar dietro; onde non sapendo, che altro fare cominciai il Foglio con quello, che mi diedero i miei due assistenti, e lo terminai con una novelletta, che fu lasciata alla bottega di Paolo Colombani Lunedì sera, d’una burla nata in un’osteria la Domenica di notte. Spero, che in Quaresima sarà il pubblico più facile a somministrare a’posti disegnati le desiderate notizie.

S. ◀Metatextualität

La Compagnia dei Salvadeghi, o sia i Rusteghi, Commedia in prosa Veneziana in tre Atti, del Signor Dottor Carlo Goldoni

Addi 16. di Febbrajo si vide per la prima volta questa Commedia rappresentata nel Teatro di San Lucca, e col ripeterne le rappresentazioni chiusero i Comici di quella Compagnia il Carnovale di quest’anno. Dipingesi in essa il costume d’alcuni Padri di famiglia, sì nemici degli onesti passatempi della Società, che sempre ne borbottano, e tengono le mogli, e i figliuoli lontani da ogni divertimento. Dalla ruvidezza di tali costumi prende la Commedia il titolo. È piena d’industria da capo a fondo, e del genere di quelle costumate, e popolari, nelle quali l’Autore fu, e sarà sempre degno d’ammirazione. Non si può dire, quanto possa la sua fantasia in sì fatti argomenti. Infinite circostanze tutte a proposito, e tutte ritratte dal vero raccoglie, così reali, ed espressive, che pare che vegga con gli occhi, e oda con gli orecchi intorno a sè quello che scrive. Natura gli parla al cuore quando medita. Allogate sono poi in essa Commedia tutte le circostanze con isquisita proporzione, e tutte con l’arte fatte spiccare, e messe in movimento, onde puoi dire:

Ebene 3► Zitat/Motto► Così si veggion quì diritte, e torte,

Veloci, e tarde rinnovando vista

Le minuzie de’corpi lunghe, e corte

Moversi per lo raggio, onde si lista

Talvolta l’ombra, che per sua difesa

La gente con ingegno, ed arte acquista; ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3

perchè appunto come raggio di Sole (mi si permetta questa comparazione Poetica parlando di Poesia) penetrato pel fesso della fenestra, ove a te par voto, e nulla, ti fa apparire una lunga striscia di minute particelle in perpetuo movimento, così l’ingegno dell’Autore illumina, e ti fa vedere mille minute circostanze, che tu non avresti immaginate, non che vedute.

Notabile è sopra tutto ne’Rustici una cosa, che a me par nuova, e potrebbe forse stabilire una nuova regola nell’arte Comica. Tutti que’Poeti, ch’hanno fino a quì imitato un carattere, ne vestirono un solo personaggio. Euclione in Plauto ed Arpagone nel Molière, sono i soli Avari nell’Aulularia, e nella Commedia Francese. Di ciò nasce spesso cosa non conveniente; e ciò è che volendo il Poeta in tal caso far vedere più facce, e diversi aspetti del carattere imitato, dee quasi di necessità tirare qualche Scena co’denti, per mettere il suo Personaggio in una novella situazione, e toccar, per cosi (sic) dire, del suo carattere le varie corde. Nella presente Commedia quattro sono caratterizzati Rustici, onde le situazioni nascono, e germogliano da sè facilmente, ed un medesimo carattere compartito in quattro uomini, ha quattro gradi, e quattro aspetti diversi, che non violentati s’affacciano agli Uditori, con varietà più grata. Quattro Donne v’hanno parte, tre Mogli, e una Figliuola da Marito; tutte in soggezione; ma con diverse maniere. Una sola d’esse si rende il giogo leggiero con la destrezza; ma però con riguardo. Tanto più spicca la ruvidezza degli uomini, quanto più sono le Donne moderate, nè richiedeono oltre il dovere. Vedesti mai Scena d’artifizio, ch’uguagli quella, in cui si trovano a sedere dall’una parte Canziano, e il Conte, e dall’altra Marina, e la moglie di Canziano, ordigno principale di tutta l’azione? In essa col tacere a tempo or delle due Donne, or de’due Uomini, e col dividere il dialogo, puoi dire, col compasso, vengono informati Attori usciti di nuovo delle cose passate nella metà dell’Atto primo, senza ripeterlo all’Udienza, e s’apre la strada all’avanzamento del nodo. Tali Scene non le fanno se non i periti Maestri, che soli le possono mettere ad esecuzione senza imbrogliar sè nello scrivere, e i recitanti nella rappresentazione.

Lo stile è colto, e senza espressioni plebee, o idiotismi vili. Sali, e parlari urbani frizzano di continuo, e sopra tutto sono festive l’ultime Scene dell’Atto secondo, ove si conoscono per la prima volta i due Giovani, che si debbono sposare. Nota il modo del far cavare la maschera a poco a poco, come l’Autore va per gradi, e quante graziose malizie fanno quella Scena brillare; e vedi in qual breve tempo nascono speranza, tema, diletto, romori, e con quant’arte si rinnova l’espettazione per l’Atto terzo; in cui finalmente cedono i Rustici per necessità, e sì a stento, che vedi Rustici obbligati a cedere dalla circostanza, non da cambiato carattere. Sono stato lunghetto, ora me n’avveggo; ma chi stampasse quanto di bene fu detto dall’universale di questa Commedia sarebbe molto più lungo.

La detta Commedia la sera del Lunedì ultimo del Carnovale, diede occasione ad un bel tratto. Vi sono in quella due Personaggi Marito, e Moglie, i quali interrompono di quando in quando i ragionamenti loro, con certe parole di mezzo, che nulla significano, difetto di molti. All’una sempre esce di bocca figurarse, e all’altro, vegnimo al merito. Ragionandosi in una conversazione di tali vizj del parlare, si fece menzione di diversi Uomini, e Donne, che con tali superfluità forniscono ogni discorso. Cadde in animo ad un bello spirito di quel Circolo d’invitare otto Persone la sera a cena fra Uomini, e Donne, che avessero questo vezzo, e parte con l’opera sua, e parte con quella degli amici gli raccolse, e invitò. Quando furono a cena, nel principio fu un bell’udire ogni ragionamento ricamato con queste ripetizioni vuote: osservela, non so se me spiega, me capissela, la se figura, el fatto è questo, e alle quante la vustu, e simili altre delizie. Andando avanti ognuno in suo cuore notava il difetto dei compagni, poi si fece coscienza del suo proprio, tanto che per vergogna si parlava poco per non urtare nell’amica parola; e stavano mutoli. Ma una Signora, stanca forse di tacere, o più spiritosa degli altri, balzò in piedi, e disse: Amici, quì si tace, e io so il perchè. In un momento non possiamo guarire. E (sic) meglio, che ci sfoghiamo alla prima, e parliamo. Tutti intesero; risero, s’apersero le chiacchiere, e quando le lingue ricadevano nelle loro usanze, si faceva festa, e romore, onde la burla servì in fine di spasso.

La Serva senza Padrone. Commedia in cinque Atti in versi Martelliani, e in lingua Veneziana del Signor Abate Chiari.

Anche questa Commedia fu rappresentata per la prima volta la sera de’16 Febbrajo da’Comici di Sant’Angelo. Benchè l’ingegno dell’Autore sia più inclinato all’imitazione del grande, e del mirabile, che a quella del costume piano, riuscì questa Commedia gradita al Pubblico, e fu ripetuta anch’essa fino all’ultimo giorno di Carnovale con applauso. Vedesi che una capace fantasia si può a tutto rivolgere facilmente, e far valere la sua vigoria in argomenti di genere diverso.

Un’Uomo della Stamperia, ove si pubblica la Gazzetta, chiamato Simone Tancon, trovandosi a due ore, e mezza di notte vicino a San Giovanni Laterano, tenevasi un lembo del tabarro in mano, e camminava. Sentì a tirarsi di dietro con forza il mantello. Vide un Uomo. Cominciò a gridare, lasciami il tabarro. Quegli lo volea, Simone tenea stretto, tutti due tiravano con diversa intenzione; finalmente il tabarro fece patti per acquietar la quistione; un pezzo ne rimase in mano al Padrone, il restante al ladro.

Giovedì a sera senza romori nè quistioni un’altro di quella pessima razza che fanno suo dell’altrui, entrò in casa d’una certa Perina Granelli che sta a Santa Sofia in Calle della Pegola, e le furò fra dorerie, e danari un valsente di dugento ducati.

In Casa delle Signore Nerici a San Fantino Sabbato passato di notte fecesi una sontuosa, e pulita festa di ballo. V’intervennero a danzare Madama Denis, detta la Pantaloncina, la Nina di Sales, la Signora Colonna, la Signora Catrolli, quella che col pubblico applauso ha danzato nel presente anno nel Teatro di San Benedetto, e ci fece ricordare la grazia, e l’aggiustatezza delle più valorose Ballerine, che quì sieno state vedute. Erano tutte queste Signore vestite con molta pulitezza, e principalmente fornite di merli di gran prezzo, e bellissimi, ma senza guardinfanti. Vi si trovarono anche tutte l’altre Virtuose di danza e di musica, fra le quali però, non si sa per qual cagione, non si videro, benchè invitate, le Signore Penni, Nichini,e Agostinelli. Molti Nobili del Paese, e due Forestieri di grado danzarono soli in quella festa con molto brio, e grazia; ed in un luogo a parte si stavano a sedere molte Nobili persone uomini, e donne osservando, e godendosi la danza.

Vi furono sceltissimi Suonatori, gran copia di lumi, e abbondanza magnifica di rinfreschi. Monsieur Denis, con molta sua lode eseguì solo de’Virtuosi di danza qualche ballo, e fu poi alla direzione delle contraddanze, che da lui dirette, e da gente pratica poste ad esecuzione, riuscirono d’infinito diletto, per modo, che la Festa venne universalmente approvata, e cominciò e terminò, senza che vi nascesse sconcerto veruno.

Persone, ch’esibiscono la loro capacità.

Io avea fatto fermo proposito di non ricevere polizze spiccate dalle muraglie, ma quella, che sarà quì sotto stampata contiene in sè una curiosità, che non mi parve da essere lasciato indietro.

Ebene 3► Brief/Leserbrief►

Nobilissimi Signori.

Ad una polizza con la quale tal Domenico Bernardi, Astrologo Zingarello, fa sopere a’Casati d’importanza, che minacciano d’estinguersi per mancanza di prole, aver egli un segreto perché ne abbiano entro il giro d’un anno, è qui soggiunto:

Il loro servo Domenico Bernardi Astrologo Zingarello, fa sapere, che avendo inteso dalle voci de’Popoli, che molti Casati d’importanza, e altri vanno estinti per non potere aver prole, egli è pronto a qualunque castigo la Nobiltà loro volesse, se non eseguisce quanto promette. Si degnino solamente, quando loro occorre, di portarsi a lui, ed egli si obbliga a palesare un segreto particolare per aver prole nel giro d’un anno: nè del suo segreto ricerca alcun pagamento, se la sua gran virtù non sarà stata sperimentata. Veduto l’effetto rimette il pagamento alla generosità di chi ne avrà avuto il benefizio.

Mi ricordo a questo proposito, ch’uno, parecchi anni sono, prometteva il segreto di far nascere soli maschi; ma egli, che maritato era avea anche delle figliuole femmine; e un altro il quale vendeva un certo Spirito contra tutti i mali, che possono venire ad un uomo, ma spezialmente contro il catarro, e la tossa, nel parlare per venderlo, avea una gola sempre rantacosa, e tossiva ad ogni due parole. Chi sa, che questo segreto del Zingarello in cambio di far nascere figliuoli, non faccia scoppiare i Padri prima dell’anno, e non estingua i Casati più presto. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3

Persona ricercata.

Quella Persona, che desidera d’impiegarsi in qualche Agenzia di Casa Patrizia, e che lasciò il suo ricapito nella Bottega da Caffè, sopra la Riva del Vino, ec. come dalla Gazzetta Num. 3. si porti alla detta Bottega, che vi ritroverà l’ordine lasciatovi.

Case da Fittare.

Un Casino d’affittar, in calle lunga S. Moisè in Corte dei due Pozzi, bello e bene aggiustato, che farebbe a proposito per una compagnia nobile di assocciati. Chi lo desidera parli con il Sig. Pietro Emo, che sta in detta Corte.

Casa d’affittar con tutte le sue comodità a SS. Apostoli, giù del Ponte de’Sartori. Paga all’anno Duc. 60. Le chiavi sono dal Fruttariol ivi vicino.

Libri nuovi fuori di Venezia

La Morte d’Adamo. Tragedia del Signor Klopstock stampata in Danzica nel 1759. in 12. e tradotta dalla lingua Tedesca nella Francese. Il Signor Klopstock è uno di que’nobili ingegni, che rendono famoso quel secolo, in cui fioriscono. Questo valentissimo Poeta è di Danimarca, ed è quel primo, che tolta via la rima dalla Poesia Tedesca, scrive in versi sciolti; e ha dato fuori fin’ora sei Canti d’un poema intitolato il Messia, Opera, per quanto mi viene affermato da persone intelligenti di quella lingua, che regge al paragone di quanti Poemi sono usciti fino al presente. La morte d’Adamo tradotta in Francese in prosa, mi da indizio della verità di tale asserzione. Al primo aspetto leggendo il titolo, sembra impossibile, che l’argomento non sia sterile, e incapace d’azione. Ma che non può un ingegno grande? La Tragedia è perfettamente ordita, tessuta a meraviglia, e piena d’un terrore, e d’una compassione, che stringe il cuore, e spreme le lagrime a forza. L’espressione è naturale, ma nello stesso tempo sublime, e uguale al soggetto.

Apresi la Scena con un apparecchio di nozze semplice, e pastorale, dovendosi sposare Selima figliuola di Adamo ad un giovane. Tutto è consolazione, ma innocente e naturale. Set figliuolo di Adamo non può rallegrarsi, che ha veduto il Padre afflitto fuori del costume. Un Angiolo avea predetto ad Adamo che quello sarebbe stato il giorno della sua morte, in cui avesse sentito un’orrore non più provato; e dettogli, che nello stesso dì gli sarebbe per l’ultima volta apparito. Di tutto ciò Adamo fa confidenza a Set, e gli descrive l’orrore corsogli per tutte l’ossa, con un’evidenza, che lo dipinge. Apparisce l’Angiolo sopra una rupe, e con parole tratte dalle scritture, cioè sublimi oltre ogni credere, gli dice, che quando il Sole sarà passato una Selva di cedri, e quando quella rupe si crollerà, egli morrà di morte. Adamo si cava la fossa sotto all’altare del sepellito Abelle, si fa aprire un uscio della sua Capanna che guarda verso il Paradiso, da cui fu scacciato, e si ricorda, che quivi dovea essere immortale, e felice. Non si può dare più appasionato ragionamento. Per colmar l’orrore viene Caino. Scena la più nobile, che mai uscisse d’inventiva umana. Adamo fa chiudere il sepolcro d’Abelle per risparmiare la vista dell’ossa sue a Caino, benchè reo. Caino viene per maladire il Padre perchè l’ha fatto nascere, onde va ramingo. Set lo rimprovera e gli scopre l’ossa del fratello. Caino tocco da quell’orrore entra in entusiasmo, e delirando maladice Adamo e fugge. Adamo gli manda dietro a perdonargli.

Entra Eva in Scena, nel punto che Adamo abbattuto dal dolore, e dall’angoscia, copertosi il capo s’è abbandonato ad una spezie di sonno. Essa che nulla sa di tutte le cose passate, entra tutta lieta per aver trovato un figliuolo, che avea smarrito, e con lei ne vengono altre Madri per far benedire non sò quali piccioli figliuoletti da Adamo, capo della famiglia. Cambiasi l’allegrezza, quando si sa quello, che dee essere d’Adamo. Maravigliosa è la Scena fra Eva, e Adamo, il quale finalmente, avendo perduta la vista affatto, e udendo, che il Sole, è vicino a tramontare, notizia da lui domandata di quando in quando, benedice i fanciulli, e gittatosi al collo del suo figliuolo Set, raccomanda a tutti, che abbiano pietà della sua memoria, benchè sia stato cagione della morte di tutti, e guardino pietosamente le sue ossa quando sarà morto. Intanto crolla la rupe, ed egli muore, e termina la Tragedia.

Legni arrivati.

Una sola Nave Inglese con carico d’Aringhe dal Ponente è capitata Lunedì, e raccomandata al Negozio Recanè.

Ebene 3► Satire► Domenica, che fu a’17. di questo mese andarono quattro amici goditori all’osteria del . . . . Eravi fra loro un parrucchiere di assai buona pasta, il quale per difetto di lingua parlava balbettando naturalmente, come fa il Tartaglia per imitazione. Poichè furono stati parecchie ore mangiando, bevendo, e motteggiando di varie cose, venuta la notte disse uno di loro: a che n’andremo noi più a casa stassera? Quelle lenzuola casalinghe a me sono venute a noja. Io direi, quanto a me, che dove si è pranzato, si ceni, e si dorma. L’oste è buon compagno, e amico nostro, non ci torrà la pelle. Voi, che ne dite? Assentirono tutti: e chiamato l’oste, gli dissero quel che voleano, ed ebbero due letti con le lenzuola di bucato. Mentre che questo si facea, disse il parrucchiere ] a’compagni: Io conosco due di voi di così insolente natura, ch’io non mi saprei arrecare a dormire nè con l’uno nè con l’altro. Scherzare, e ridere tutto il dì, al nome sia del Cielo, ma la notte intendo di dormire. G. E. è del mio parere, io dormirò seco. Fa come vuoi, dissero gli altri due, che noi staremo insieme. G. E. che dormiglioso è di natura, l’ebbe caro, e si accordò anch’esso. Agli altri due parea di morire, se non trovavano qualche beffa, da non lasciargli dormire in tutta notte; e chiamato l’Oste in disparte gli dissero, che per romor grande, che udisse, e per chiamare, che fatto fosse, non entrasse nè egli, nè altri in quella stanza; ma che serratala di fuori a chiave al tempo dell’andare a letto, quivi gli lasciasse; e che intanto arrecasse loro di nascosto una ricotta, o puina molle molle, che intendevano di fare una burla. Venuta la ricotta, e uscito l’Oste, i due fecero in modo, con varie malizie, che il parrucchiere e G. E. uscirono della stanza, ed essi intanto posero la ricotta fra le lenzuola da quella parte ove intendevano di far coricare il Parrucchiere. Intanto si cenò lietamente, e venne l’ora del dormire. G. E. cominciava a sonniferare, e avea gli occhi mezzo chiusi, i due ridendo, e fingendo di scherzare, e d’aver compassione di lui, lo spogliarono essi medesimi, e lo posero a letto dalla parte non tocca. Poi cominciarono essi medesimi a scalzarsi, comandando al Parrucchiere, che per castigo di non aver voluto dormire con esso loro, fosse l’ultimo a spogliarsi, e ammorzasse il fuoco, che ardea. E così fu; che quando essi si furono coricati, il Parrucchiere ammorza, e copre: ma essi, che non voleano, che pure una favilluzza ne rimanesse dicevano: Io veggo un barlume costà, e vedi un carbone colà. Io ho paura del fuoco più, che della morte. Spegni là, ammorza costì, copri con le ceneri, e tanto dissero, che il Parrucchiere stanco di tal seccaggine, va a certi vasi, che avevano dentro acqua lavorata dalla vescica, e versagli sul focolajo dicendo: ora sarete contenti; e lo furono, perchè quel lago avrebbe ammorzata Troia. Allora uno di loro levasi, prende la candela, e dice al bujo vedrò meglio se il fuoco è bene ammorzato, o no; e il dire e il soffiare nella candela, e il tornare a letto fu un tempo. Il parrucchiere ] borbotta; essi due si domandano l’un l’altro: vedi tu faville? Nò. Ora siamo sicuri, e il parrucchiere ] sbuffa, e diceva: ecco perchè m’avete fatto ammorzare il fuoco; ma io son uomo d’andare a letto anche al bujo, che non sapea della ricotta molle, che l’attendea. Il compagno suo con tutti questi romori, seguiva la sua buona natura, e russava forte; il Parrucchiere in camicia leva le coltrici, e dentro. Ma non sì tosto si sentì sotto a’fianchi quella cosa molliccia, che mise uno strido, che parea invasato. I due domandano, come spauriti, che è? ed egli: è che questa carogna, ch’io mi elessi per compagno mi ha concio tutto il letto, che maladetto sia egli. Vergognoso, destati, e grida sì forte, che l’altro, rispondendo arrabbiato, che diavol hai tu? si volta in fretta, e da nel molle; e così mezzo balordo esce del letto, e incolpa il Parrucchiere dell’imbratto. Dopo molti vituperii detti dall’una parte, e dall’altra, usciti tuttadue di letto, chiamano l’oste ], vogliono aprire, è chiuso, picchiano, battono in terra, gridano con le maggiori voci, ch’abbiano in gola, tanto, che la stanza parve un inferno, perchè anche gli altri due ajutavano. Finalmente non vedendosi persona, dicono i due dell’altro letto. Sapete, che è? noi intendiamo di dormire sta notte. Andate a letto, rannicchiatevi come potete, mettetevi in un cantuccio, e statevi. Dice il Parrucchiere, che cantuccio, o non cantuccio? per grazia di costui il letto è un letamajo; e non c’è filo, che ci potesse ricogiiere. G. E. va in collera, il Parrucchiere anch’egli tra per l’ira, e pel freddo battono i denti. Gli altri due compagni vedendo, che la cosa si riscaldava, si diedero a ridere, narrarono il fatto, e dopo molto borbottare, risero anche gli altri, e come potettero s’allogarono fra le coltrici, cianciando, e motteggiandosi fino alla mattina. ◀Satire ◀Ebene 3

Cose rare da vendere.

Una raccolta di Quadri di Celebri Autori: Chi volesse comperarli, parli con Floriano Caffettier sotto le Procuratie Nove, che gli sarà insegnata la Casa per vederli, e la Persona per contrattare. ◀Ebene 2

Vendesi la presente Gazzetta a 5. soldi, e si ricevono le Notizie.

A San Marco. Nella Bottega da Caffè di Florian.

In Merceria. Nella Bottega di Paolo Colombani Librajo.

Con Privilegio. ◀Ebene 1