Cita bibliográfica: Antonio Piazza (Ed.): "Num. 92", en: Gazzetta urbana veneta, Vol.1\092 (1788), pp. 729-735, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Dickhaut, Kirsten / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.1900 [consultado el: ].


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NUM. 92.

Sabbato 15. Novembre 1788

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Proseguimento

Degli Avvenimenti dell’Uomo Sincero.

Exemplum► Della Lettera, ch’io dissi d’avere scritta a mia Madre, ebbi un’affettuosa risposta. Durante il mio quinquenne soggiorno di Genova le scrissi ogni mese informandola della mia situazione, e regolarmente fui corrisposto. In più volte le mandai in denari una somma ascendente al valore dell’oro da me rapitole. Questi segni d’onestà, di riconoscenza, d’amor figliale, mi privavano de’pochi soldi che m’avanzavano, dopo certe necessarie spesette per la mia decente comparsa.

Non istetti in Genova che cinque giorni soltanto fuori del Palazzo da cui venni scacciato. Alloggiai in casa d’un mio Amico ministro d’un Negoziante. L’occasione di pranzare col Capitano Francese d’una Polacca pronta al viaggio di Marsiglia mi determinò prendere su quella l’imbarco, e passare in Francia: tanto più, ch’ei me ne aveva accresciuta la voglia col descrivermi la buona compagnia di passeggieri che aveva. Duecento Scudi mi sembravano una ricchezza. Aveva quanto occorrevamo in abiti e biancheria, per qualch’anno, e per tutte le stagioni. Mi lusingava sulle altrui informazioni di poter guadagnarmi il pane insegnando la Lingua Francese. Non mancavami spirito, nè coraggio, ed avventurato mi sono a’rischj del mare, e a’capriccj della Fortuna, del miglior umore del mondo.

Buon per me, che il moto violento, e variato dell’agitato Legno, non mi cagionò nè paura, nè incomodo, anzi produssemi una grata sensazione. Trovai ne’miei compagni di transito tanti caratteri quante n’eran le teste, e non devo ommetterne la descrizione.

Nivel 4► Retrato ajeno► Il più vecchio era un uomo sdentato, che fischiava parlando, ed affettava nelle maniere sue, e nelle sue espressioni una gentilezza la quale in vece d’obbligare stancava, ed era senza [730] distinzione distribuita a tutti quelli che gli parlavano. Aveva le stesse attenzioni per il Capitano che per il Marinajo, spargeva su tutte le parole il zucchero dell’adulazione, e per essere amico di tutti si faceva con tutti ridicolo. La sua predominante passione era la moda, e aveva intrapreso il viaggio di Parigi all’unico oggetto di soddisfare il suo genio, e tornare alla Patria carico delle più fresche invenzioni, e vestito e adornato in modo da farsi il modello della Gioventù capricciosa, e distruggere colla sua autorità tutti gli arbitrj di cui son suscettibili le copie fatte in parti lontane dalla gran Capitale ove quest’Idolo del bel Sesso ha il suo regno. Durante quel tragitto marittimo, che fu di sei giorni, si cangiò di vestito otto volte, e volle far vedere il suo buon gusto nella varietà delle sue comparse. Sempre in caricatura, e di colori non convenienti nè all’età sua, nè all’aria del di lui volto, tutto lo studio che impiegava per piacere, rivoglievasi a metter in vista i difetti suoi. Non usciva da uno stanzino a poppa, che gli era assegnato, s’ogni mattino non si radeva prima la barba, e non si torturava col pettine, e i ferri caldi, que’ quattro canuti peli, che circondavangli una sferica nudità. Aveva una quantità di berrette, a pan di zucchero, a turbante, a cuffia, angolari, grandi, mezzane, piccole, ornate di nastri, e fettuccie, e portava ora l’una, ora l’altra. Una volta si mise una ricca ed elegante rete alla spagnuola su cui era trapunto l’oro, e l’argento, dalla quale brillanti fiocchi pendevano, che stava in aperta contraddizione con quella faccia sparuta e grinzosa. Comparve allora À la matelote con una larga serica fascia color di rosa degna di cingere il fianco a una Venere non mai i floscj lombi di quella figuraccia sguajata. Olezzava d’aromati, di spiriti, d’acque odorose, di balsami, di sali volatili, e allo spiegare i suoi fazzoletti vinceva le forti esalazioni della pece del Bastimento. Era carico di tabacchiere, d’astuccj, e di tutte le galanterie da far mostra sulla toilette di qualche Sposa. La loro costruzione, il colorito, gli ornamenti, davano serio argomento di discorsi alla sua sibilante eloquenza. Sempre gajo, e di buon umore, sempre occupato delle sue frivolezze, era nella sua pelle l’uomo più felice del Mondo, non inquietava alcuno, e di nulla inquietavasi. E uno. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4

Nivel 4► Retrato ajeno► Contrapposto alla sua estrema lindura stava sempre sozzamente vestito da marinajo un avvelenato sprezzatore della sua Patria, adoratore dell’Inglese Nazione della quale però non imitava che i vizj plebei. Dedito eccessivamente all’ubbriachezza, non aveva mai nè giorno nè notte un momento di serenità di mente, perchè se mai questa succeder voleva a’sfumati liquori egli la reprimeva con qualche bicchiero di punch. Scosso il giogo della Religione, e degli umani riguardi, non gli uscivan di bocca, che delle ingiurie, e de’motteggj contro di quella, delle oscennità ad offesa di questi, delle bestemmie inglesi, de’vituperj. Chi se ne scandalezzava era da lui riputato una testa debole. A suo dire la più sana Filosofia era quella che insegnava a vivere a modo suo: e faceva consistere la felicità nell’esser sempre ubbriaco, nello sforzare i sensi a tutti i gusti possibili, nel ridersi delle Leggi del Cielo e del Mondo. Incauto per non celare il suo contraggenio alla Nazione Francese in un Legno di quella Bandiera, ebbe forte sino ad un certo segno di trovare uno scudo nella prudenza del Capitano contro il risentimento de’Marinaj: ma uno di questi offeso un giorno particolarmente, e sfidato a’pugni dall’ubbriacone lo servì [731] sì bene sul cassero, che gli ammaccò il viso, e le coste. Colui confessò generosamente la superiorità del suo avversario, l’onorò col dirgli ch’era degno d’esser Inglese, e volle bere seco lui in segno di pace, mentre piovevagli il sangue dal volto. Era un giorno il mare in burrasca, e tutti i marinaj in esercizio per chiudere alcune vele. Volle, l’infelice posseduto dall’Anglo-Mania salire anch’esso sull’antenne del trinchetto, per far vedere la sua bravura, e vi resistì travagliando un poco: ma un gran colpo di mare, che scosse la Polacca in modo da fargli prender acqua da un lato, balzar lo fece in preda dell’onde dove miseramente perì. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4

Nivel 4► Retrato ajeno► Il passo Narciso allora non si ricordava più delle mode, e querelavasi d’aver azzardata la sua vita all’infido elemento. Compiangeva umanamente il destino del perduto nostro compagno, e fu ripreso in tuono derisorio da altro passeggiero dominato dal più insolente spirito di contraddizione, di cui non aveva mai usato contro del meschino defunto, per paura d’un pugno all’Inglese. La sua morte gli snodò la lingua contro di lui, e più occupato dalla malignità del suo genio, che dal timore della burrasca, gli tessè una Oratio in funere degna della sua satirica loquacità. Chiamato a Marsiglia da una considerabile eredità, ebbimo la disgrazia della sua compagnia, che riuscì a tutti molesta. Parlava contro i suoi medesimi sentimenti per crearsi motivi di soperchiare, d’offendere, e com’era fino d’ingegno, e non senza cognizioni letterarie, così pareva che sempre stesse dal canto suo la ragione, e tacer faceva chi sentiva al contrario. Io poteva coglierlo al varco più d’una volta, ma per non impegnarmi con quel vile maledico lo lasciava dire quanto venivagli in bocca. Non ho mai cercato le risse, ma non soffersi nemmeno da chi che sia la menoma ingiuria. Come il bevitore era Inglese spaccato, così questi era Francese sin nelle midolla, e preferiva l’ultimo marinajo di quella Polacca al più colto Italiano. Leggeva sempre Libri Francesi, sosteneva che al Mondo non davasi più bella Lingua di quella; e se alcuno usciva con qualche rimostranza, subito raffinati motteggj, palliati insulti, pompa di stiracchiate dottrine, e tutti si stringevano nelle spalle e tacevano. Appassionato per la Musica si credeva d’incontrar il suo parere lodando i Maestri, e i Cantori che godono del maggior credito: ma erano tutti bietoloni s’egli lodati non avevali in prima, e per essere seco lui d’accordo bisognava fargli l’Eco. Perchè da me non poteva egli esigere niente più che il mio silenzio, mi trattava con una spezie di disprezzo di cui nacque il caso di vendicarmi. Parlandosi un giorno d’Epitaffj disse che il suo l’aveva apparecchiato egli stesso. Potevate, io gli dissi, risparmiarvi la pena perchè vi si conviene quello che fecesi per il Poeta Ipponace. Fuge grandinantem tumulum horrendum. Aveva egli aperto l’adito ad un torrente delle solite sue pungenti vivezze, quando l’arrestai coll’avvisarlo, che meco egli misurasse bene i termini: perchè io sapeva rispondere colla Lingua, e colla mani. Non ci volle di più a renderlo docile verso di me. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4

Nivel 4► Retrato ajeno► Avevamo una Ballerina, d’un’abilità, a suo dire, senza eguale: ed era bene da crederle per la testimonianza della sua Mamma a cui rivoglievasi ad ogni asserzione per attestati di veracità. Sinchè il mare fu in calma non c’era al Mondo la donna più coraggiosa di lei, rideva di quelle, che ricusavano delle fortune per non far qualche viaggio marittimo, e dimostrava una [732] maschile fortezza. La burrasca cangiar le fece linguaggio. Quando fummo in preda di essa scongiurò il Capitano di trarla a terra, come s’egli fosse stato in poppa d’una gondola, e col premi e stali avesse potuto condurla a riva. Promisele in dono tutto il suo, giurando d’avere sei mila scudi di gioje. La mamma, che tremava pur (sic) essa dallo spavento, affine di persuaderlo giurò sul suo onore, e su quello di sua figliuola, che ne valevano più di dieci. Egli si mise a ridere, e le esortò a darsi coraggio, assicurandole che non eravamo in pericolo. Tornato il mare in bonaccia ambedue ebbero tutta la cura di ristorare dal danno sofferto, una Gazza, un Pappagallo, un Canarino, e due Cagnolini, che seco loro portavano. Ricuperato lo smarrito suo spirito quella Ninfa Teatrale ne raccontò le sue imprese. Quanti Teatri sostenuti colle sole sue gambe! quanti confronti avviliti! quante fortune agl’Impresarj recate! Vienna, Londra, Pietroburgo, erano in gara per averla: le si mandavano Foglj in bianco per indurla ad accettare le offerte: il suo valore superava ogni prezzo: niuno ardiva limitarglielo, a Lei se ne lasciava l’arbitrio. Matrimonj ricusati, amori negletti, passioni deluse, onori ricevuti, erano l’anima de’suoi discorsi. Aveva fatto vacillare de’troni, precipitar dei Ministri, dispensar de’titoli, arricchire de’miseri, e la Mamma affermava tutto anelando, perch’era grossa quanto una balena, e ogni parola le costava un respiro. Si seppe poi che tutto il suo Capitale ascendeva a circa trecento Scudi: e con tutta la sua bellezza resistente a’sublimi affetti, teneva dietro ad un Veneto Capitano rovinato per le Donne di Teatro onde mangiarli anche il Bastimento. Il vezzoso Vecchio tutto credevale, o almeno fingeva di crederle, ed erale sempre accanto storpiandola di complimenti. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4

Gli altri passeggieri erano un Uffiziale, che rideva molto e parlava pochissimo, un Mercante che non sapeva un zero fuori del circolo de’suoi affari, un parasito che di parlar non aveva tempo, perchè sempre mangiava, un divoto, che diceva sempre orazioni, o era rapito in estasi contemplative.

Con tanti bizzarri diversi caratteri in quel Legno raccolti era impossibile, che non s’intrecciassero delle Comiche Scene. Così di fatti seguì, ma io non ebbi mai parte in alcuna d’esse, e mi tenni semplice spettatore. La più cara compagnia per me era quella del Capitano, uomo colto, gentile, prudente, di spirito, e nell’arte sua peritissimo. Esso mi fece prendere un’idea vantaggiosa della sua Nazione, e parlandomi sempre nel suo linguaggio da me inteso soltanto in lettura; mi diede una spezie di scuola, che non fu inutile affatto tuttochè breve.

Giunti a Marsiglia si separò la Compagnia viaggiatrice. Io fui diretto da un Locandiere Italiano, che promisemi mari e mondi, ma in quattro mesi nulla fece per me altro che farmi spendere al suo Albergo tutti i denari che aveva. L’unico vantaggio che ne ritrassi fu quello d’imparare col suo ajuto ad esprimermi mediocremente bene in Francese, e ad intenderlo. Era ridotto alla disperazione quando una combinazion favorevole mi diede la vita. ◀Exemplum ◀Nivel 3

Metatextualidad► (Sarà continuato) ◀Metatextualidad

Teatri.

Continuano le repliche del nuovo Dramma a Sant’Angiolo, e sempre a [733] pieno Teatro, e con costante grandissimo applauso. Allo strepito di tanta fortuna non si scuote la nostra fermezza sull’opinione pubblicata nel precedente Foglio. Abbiamo resa la dovuta giustizia alla feracità dell’ingegno, che lo ha creato, all’intelligenza di chi lo ridusse al presente suo stato; abbiamo giustificata la compiacenza del Pubblico, ed allo stesso tempo soddisfatto al dovere della discernitrice equità, che imporre non lasciasi dal fanatismo. Non v’hà persona, che siasi pentita d’essere concorsa alla rappresentazione di questo Dramma: ma non v’ha uomo di buon senso, che parlando sopra il medesimo abbia data una deffinizione, che non s’accordi alla nostra. Compensati dal suffragio di questi colti uditori del cui solo giudizio facciamo conto, s’ha da chiuder l’orecchio al romor de’tamburi, che suonano sempre dove s’è vinta la causa.

L’accennata Tragedia Galeotto Manfredi di Faenza, del rinomato Signor Abbate Vincenzo Monti Romano, Segretario del Signor Principe Onesti, incontrò la soddisfazione di chiunque gusta la regolarità delle Azioni, la sostenutezza de’caratteri, il felice maneggio della passioni, le unità rispettate, e sopra tutto una bellezza di stile, che sorprende ed incanta in quelle frasi, in quell’espressioni medesime, che severamente son condannate dalla sofistica pedanteria inimica de’voli arditi, delle pellegrine invenzioni. In questo pregio sì caro agl’intelletti che sdegnan la sferza scolastica sulle vibrazioni del genio, il nostro Autore sovranamente distinguesi. Siccome nell’anno scorso graditi furono su questi Fogli i squarcj riportati del suo Aristodemo, perchè dalle Scene perdonsi molte parole, o de’be’ pezzi languiscono sulle labbra di certi Comici, in vece d’essere vivificati, Metatextualidad► così diamo nel presente un nuovo Saggio degli armoniosi gravidi di senso suoi versi, sicuri di meritarci la compiacenza degl’intellegenti lettori, che avendoli sott’occhio penetrar potranno nella loro sostanza, e trovar più da ammirare dove appunto l’inceppata dottrina contorcesi, ed alza i suoi gridi. ◀Metatextualidad

Nivel 3► Cita/Lema► . . . . . . . A chi possiede

Il gran talento delle Corti, l’arte

D’accrezzar chi s’odia, ed in segreto

Tradir per zelo, ed infamar per vezzo.

E sai guidarla, circondarla, e lungi

Tener qualunque, e vigilarvi sopra,

Come cane che ringhia in sù la preda

Tu medesimo: e giusto è ben che al fianco

Ogni Regnante s’abbia il suo Sejano;

E fortunato chi ne conta un solo.

. . . . . . Sù la sponda intanto

Stà del Viti a lavar le sue ferite

La gelosa Ravenna, e minacciando

Del Veneto Leon l’aita implora

Dove coragggio troverem?

Nel petto,

Nell’amor de’vassalli. Abbiti questo,

Signor, nè d’altro ti curar. Se tuo

Delle tue genti è il cor, solleva un grido

E vedrai mille sguaianarsi, e mille

Lucenti ferri, e circondarti il fianco.

Ma se lo perdi, un milion di brandi

Non t’assicura. Non ha forza il braccio,

Se dal cor non la prende . . . . . 

Questa vantata

Ragion de’nostri affetti imperatrice,

Non è quel che si crede. Ella sparisce

Quando l’alma è sconvolta, e burrascosa.

Il freddo gel de’suoi consigli è meno

D’una stilla, che cade su le vampe

Di gran fornace.

[734] Amor non è che desiar. Ma guarda.

Fra il tuo desire, e il desiato oggetto

Un intervallo orrendo si frappone;

E per varcarlo calpestar t’è d’uopo

Fama ed onor: degli uomini, e del Cielo

Le Leggi violar: spegner per via

Cento rimorsi per crearne mille,

Che poi faranti detestar la luce,

Tremar nell’ombra, e trabalzar nel sonno.

Allor ti grideranno, e fia quel grido

Un muggito di tomba . . . . 

Sì, gli amplessi di Moglie, o Prence mio,

Son possenti, e divini; una dolcezza

Spandon su l’alma, che rapisce, e sola

Tutti assorbe gli affetti . . . . . 

Innocente Manfredi, e m’abbandona?

Egli innocente, e non tien conto il crudo

Delle lagrime mie?

Fortuna nel passar getta per via

Del comando la verga, e la raccoglie

Sempre la mano del più scaltro.

Altro di tomba onor, lassa! non ebbe,

Che una bara campestre, e pochi fiori,

E poca terra, e della Figlia il pianto.

Il cuor si serra

Nelle fortune, e sol lo schiude il tocco

Delle grandi sventure.

Io posso

Con saldo petto disfidar la morte,

E gl’irati elementi, e delle cose

L’universal ruina: ma vacillo,

E mi trema lo spirto, e si dilegua

Nel veder che tu piangi, e che son io

La cagion del tuo pianto.

L’innocenza mia

A pesar mi comincia, e d’un delitto

Sento il bisogno . . . . . . 

Il frutto

Non è maturo, e ancor resiste al tocco

Della man, che lo tenta.

Nel tomer: virtute

Dal cor m’espulse ogni straniero affetto,

Poi serronne la porta: e tu qui dentro

Sei rimasta, tu sola.

Oh bella pace!

Oh de’mortali universal sospiro!

Se l’uom ti conoscesse, e più geloso

Fosse di te, riprenderia suoi dritti

Allor natura: vi saria nel Mondo

Una sola Famiglia: arbitro Amore

Reggerebbe le cose; nè coperta

Più di delitti si vedria la terra.

Stolto! ed ignora

Che tranquillo son io, come una rupe?

Odiar sò bene, ma sdegnarmi? Oh pensa.

Odio verace, e risoluto, è sempre

Ospite breve in iracondo petto,

Ed eterno nel mio.

Tu m’infiammi, Zambrino. Ogni tuo detto

È uno strale di foco.

Una selce è costui, che nelle vene

Foco racchiude: ma scoppiar nol vedi

Se nol percoti

Di sfuggir sua vista

Facciam sembiante; e il volto mio somigli

Al fior modesto, che nasconde il serpe.

Vil, tenebroso seduttor, se il volto

Del tuo Sovrano non ti desse ardire,

Un sol detto passar non oseria

Sul tremante tuo labbro.

Anima sozza,

Ma più sozza di quante ebra in delitti

Ne vomitò natura; e che non vali

Neppur la polve, che mi lorda il piede:

Putredine di Corte, e che pretendi?

Dentro lo spirto

Come una larva veggomi d’Elisa

[735] L’immagine passar. Larva adorata,

Quanta virtude mi rapisci, e quanto

Carattere d’onor! Tal mi riduci,

Ch’un uom del volgo co’ rimorsi io sono,

Senza rimorsi un traditor.

Oh, Dio! Spalanca, o terra

Le voragini tue: quest’empj inghiotti

Nel calor della colpa, e queste mura,

E l’intera Città, sorga una fiamma

Che li divori, e me con essi, e quanti

Vi son ribaldi, che la fede osaro

Del talamo tradir. ◀Cita/Lema ◀Nivel 3

La scelta di queste parti staccate non serve, che a far conoscere lo stile impiegato dall’Autore in questa sua Tragedia. Se i divisi membri hanno separatamente tanta bellezza, è facile immaginarsi quella del corpo da essi composto.

Avvisiamo, che nel Teatro a San. Giov. Grisostomo ora l’entrata non costa che soldi dieci, benchè il Ballo de’Ragazzi continui con universale piacere.

Nivel 3► Carta/Carta al director► Carissimo mio Signor:

Bovolenta li 9. Novembre 1788.

Non hò sentito ancora nella sua Gazzetta, che V. S. nomini la tanto decantata nostra Accademia letteraria. Essa è un Composto di membri rispettabili in tutte le scienze, e d’ingegni, che dierono bastanti prove al Pubblico colle loro stampe. Gli Accademici sono la più parte di questo nostro Paese, eccettuati alcuni, che v’intervengono da diversi parti contigue. Ogni Mese si fanno delle Letterarie dispute, ed in tal guisa diamo occasione a questi abitanti di trattenersi con piacere. Si vede veramente il genio nobile di un picciolo Paese, che in questo sta a competenza con i Castelli, e Città le più colte. Si chiamiamo Accademici Concordi, e questo è il motivo, che si sottoscriviamo A. C. Pertanto è pregata compiacermi col mettere in un suo Foglio tal dettaglio, acciò nota sia anche alle parti più lontane questa nostra Accademia, per la quale n’andiamo tanto vanagloriosi. Di cuore la riverisco.

Umil. Servitore

N. N. Ac: Co: ◀Carta/Carta al director ◀Nivel 3

Libri Nuovi.

È comparso un Opuscolo di Pagine 21. in 8vo, stampato in bella Carta ed in buon carattere da Carlo Palese, col seguente titolo

Al Serenissimo D. D.

Paolo Renier

Doge Regnante Delle Serenissima Repubblica Veneta,

Pietro Mocenigo Patrizio Veneto.

Ottobre 1788.

È Dedicato all’Eccellentissimo Signor Andrea Renier Kav. Figlio di Sua Serenità. Dispensasi gratis da alcuni di questi nostri Libraj.

Cambj.

Venerdì 14. Novembre.

Lione 59 e mezzo. Parigi 59. e mezzo. Roma. 63 e 3 8vi. Napoli 118. Livorno 99 e 3 8vi Milano 155 e un 4to. Genova 92 e 3 4ti. Amsterdam 92, e un 4to. Londra 48 e un 6to. Augusta 101. e mezzo. Vienna 195. e 3 4ti.

Disgrazie.

Un uomo di civil condizione, col pretesto d’ire a caccia in Valle s’alzò di letto alle nove della notte, e si separò dalla giacente sua Moglie. Fu ricondotto al seno di questa infelice allo spuntare del dì susseguente, fracassato, e semivivo. La cagione della sua morte è un arcano. Non altro si sà di certo, sennon che in quel deplorabile stato non visse che due soli giorni. Il fatal caso è succeduto nella settimana presente in una Contrada di questa Città, e raccontasi in varie maniere, ma niuna assegna una causa innocente.

Metatextualidad► Querelasi in un Biglietto certo Incognito di cui ci sembra conoscere il carattere, che le Leggi stabilito non abbiano i convenienti castighi per l’eccesso d’alcune colpe o vizj, come sono l’ingratitudine, avarizia, l’ubbriachezza ec. Nivel 3► Exemplum► Ci racconta, che un suo Servitore ha preso in Moglie senz’accorgersene una Femmina dedita al vino; che la trova cotta ogni notte quando và a casa; che talvolta è costretto di menar le mani più per difendersi, che per offendere, ed è per disperarsi non sapendo in qual modo correggerla. ◀Exemplum ◀Nivel 3

L’informazione recata alla Gazzetta tende a ricercare il miglior consiglio ad un povero maritato, ch’abbia una Moglie attaccata da un vizio sì turpe, singolarmente per il sesso Femmineo; e se frà le antiche Nazioni vi fossero Leggi penali contro l’ubbriachezza delle Donne.

Quanto al primo punto lasciamo ad altri il merito della risposta, per non esporci alla vendetta d’una furiosa Baccante col suggerire alla sua sventurata metà un rimedio da guarirla, che non le accomodarebbe. Sul secondo possiamo dire, che alle donne Romane anticamente il Vino era proibito, e se peccavano contro la Legge, il Marito, e i Parenti della Moglie, erano i giudici che la punivano. ◀Metatextualidad

Prezzi del Riso.

Dalli Ducati 35: 12 ai 36. al m.

Degli Ogli.

Di Corfù a Duc. 138.

Del Zante a 135.

Mosti a 134.

Rappresentazioni per questa sera.

A S. Gio: Grisostomo.

La Principessa Filosofa.

A S. Angiolo.

Replica del Tempo ec.

A S. Luca.

Il Testamento Commedia di Carattere. ◀Nivel 2

Dalla Stamperia Fenzo Venezia. ◀Nivel 1