Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "L’ospitalità villereccia", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\60 (1822), S. 262-265, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.832 [aufgerufen am: ].


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L’ospitalità villereccia

Zitat/Motto► In bono hospite atque amico quaestus est quod sumit.

Plaut.

In buon ospite ed amico guadagnasi quel ch’egli prende. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Mentre io n’andava in villa, sì subito e sì malvagio tempo mi soprapprese, che a cercare intorno d’alcun rifugio costretto fui; ed essendomisi non molto di lungi una magion dimostrata, a quella volta dirizzai il cavallo. Dal cammino di quella s’innalzava densa colonna di fumo, ravvolgendosi verso il cielo, e faceva altrui argomento quivi dover essere comoda e buona stanza. Dato delle calcagna al cavallo, trapassai un cancello, e pervenni alla porta della casa, dove, per non parere uno ardito e presuntuoso, picchiai pian piano il più che potei. Ma tanta era la cortesia che quivi albergava, che il mio volervi entrare non potè ardir parere, nè presunzione. Perocchè come io fui dentro, tutti mi fecero lieto viso, più che se detto avessero ad una voce: Voi siate il ben venuto. Parecchi di loro che insieme sedevano a fare alcun loro lavorío, lasciatolo stare, mi si levarono incontro: e chi mi prese il cappello carico d’acqua e l’appiccò al cavigliuolo; ed appresso, chi la frusta, chi li guanti e chi ‘l tabarro: e l’antica donna della piccola casa fecemi in una bella sedia a bracciuoli innanzi al foco [263] sedere, nel quale s’ardeva un gran fascio di legne. Nè minor cura che di me fosse avuta, si ebbe del mio fedel Toaspo, che mi suol ne’viaggi far compagnia, il quale per lo più garzone di quella famiglia fu alla stalla menato, e bene adagiato così, come il suo signore.

Disse la vecchiarella: Questo signore ne pare ancor digiuno. Li figliuoli risposero: Sì bene, il signore non dee ancora aver mangiato. E se io avessi voluto affermar che no, niente avrebbe montato. Perchè tantosto fu una piccola tavola messa, con una tovagliuola per me solo: e prima venne un paio d’uova, e poi burro e cacio, e tutt’altro che a ricca e splendida colezione in villa si richiede, con bell’ordine ed abbondevolmente. In questo essendosi li due figli tornati all’opera loro, e la madre con la minor figliuola all’arcolaio, rimase a curar la mia tavola la maggiore, chiamata Nella, alla quale fu imposto che calasse nel celliere e scegliesse vino, e le ricordasse di recarne un fiasco del vecchio per lo messere, il quale non doveva mai più averne beuto migliore. Ebene 4► Fremdportrait► Tornò la Nella, e quivi ebbi spazio di consideratamente riguardarla. Era la sua festevole bellezza quale di chi appena sedici volte doveva aver la primavera veduta: aveva il corpo così ben fatto e di tanta leggiadria ornato, che in quello pareva la natura avesse voluto mostrare quantunque ella può; i suoi occhi cerulei brillavano del più tenero lume, e le sue labbra di corallo erano animate dal dolce sorriso dell’innocenza. E se di color bruno sottilissima ombra sulle carni le aveva indotta il raggio del sole, ciò non altro era che [264] un farla conoscere per una bellezza forese. Poichè posta si fu al suo filatoio, la lana faceva parer l’adornezza della mano e delle dita, dalle quali assottigliata era e adeguata; e gli atti che a dedurre ed avvolgere il filo si convengono fare, discuoprivano le sue ritondette e morbide braccia. Cosiffatta era l’amorosetta e tenera Nella. O voi rigidi stoici, vantate invano la vostra pretesa indifferenza. È forse concesso all’uomo, che veggendosi innanzi agli occhi bellezza ed innocenza insieme aggiunte, non ne deggia esser mosso? Non è Dio stesso di tale affezione in noi promotore? E se tanto vi prendono e v’innebriano gl’imperfetti lavori dell’arte, come potete a vile tenne le compiute ed eccellenti opere della natura?

La Nella intralasciando ad ora ad ora il suo filare, si levava a mescermi vino. Io era forestiere; e però di certe piccole amorevolezze m’erano fatte, le quali si gustano, ma non si possono diffinire; e se peravventura da bella donna vengono, non isfuggono mai dall’animo. Mi congratulai alla madre, che sì bella figliuola avesse; e poscia guatata la Nella, vidi che il mio complimento le aveva dipinte d’un bel vermiglio le guance; e per questa vergogna e per questa confusione ella era eziandio più piacevole divenuta. ◀Fremdportrait ◀Ebene 4

Quella gioia, quell’innocenza e quella bellezza m’era si dolce a riguardare, che io non me ne sarei sentito mai sazio. Ma essendosi dileguato il temporale, conveniva rientrare in cammino. Perchè i guanti, la frusta, il cappello, ogni cosa mi fu l’una appresso dell’altra renduta, ma [265] malvolentieri. Cominciai a pregare la madre di volere certi denari prendere in guiderdone: ed ella non solamente per niun partito il consentì, ma grazie dell’averla io visitata mi riferiva. Onde io la ripregai pure che le dovesse piacere che io lasciassi alla sua figliuola, per ricordanza di me, un donuzzo di due stampe (le quali io poco prima aveva nella città comperate per adornare la mia stanza campestre): delle quali l’una conteneva le nozze de’contadini, e l’altra la concordia famigliare. Al rossore nuovamente nel viso della Nella apparito, al subito fuoco che tutta la sua bellezza avvivò, apertamente conobbi, quelle stampe doverle avere fatta una sua prossima felicità immaginare. Guardate qui, diceva io alla Nella, insegnandole la novella sposa. La Nella tutta tacita e vergognosa sogghignava. — O creatura gentile, diss’io fra me, gira il tuo filatoio, il disiato giorno aspettando: e vattene la tua semplicetta via, la qual mena altrui per la virtù. Così la pace e la consolazione avvolgano alla ruota della ventura lo stame della tua vita! ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1