Citazione bibliografica: Giovanni Ferri di S. Costante (Ed.): "Sezione VI", in: Lo Spettatore italiano, Vol.1\06 (1822), pp. 331-396, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.786 [consultato il: ].


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Sezione VI

Degl’Inglesi

Non è la inglese delle nazioni moderna quella che con meno vantaggio abbia posto suo studio nella scienza morale, così per quanto appartiene a teorica, come per l’applicazione de’suoi principii; ed ella nell’arte di ritrarre i costumi e i caratteri non la cede ad alcun’altra. Ancor quivi i poeti andarono innanzi ai prosatori. Chaucer, tenuto padre della inglese poesia, visse al tempo di Petrarca e Boccaccio. Dodici volumi di poesie compose principalmente di favole, ed a modo delle novelle del famoso Italiano, nelle quali egli ritrae molto bene i costumi del suo secolo; ma a simiglianza del suo esemplare poca morale contiene. Al presente appena intendono il suo linguaggio gl’Inglesi: ma non isdegnarono Dryden e Pope di ringiovanire una ed altra delle sue vecchie favole, alle quali nè invenzione fallisce, nè interesse.

Primo che di poetico stile dotò l’idioma inglese, fu Spenser, il quale a Shakespeare precorse pochi anni. Dapprima egli mandò fuori il Calendario de’Contadini, raccolta di egloghe da certi critici inglesi comparate per la semplicità naturale a quelle di Teocrito. E nel vero egli tien dietro alla natura; ma talora l’appressa troppo, e i contadineschi costumi dipinge troppo rusticamente. La fama di Spenser si levò massimamente per la Regina delle Fate, poema cavalleresco, nel quale imitò l’Ariosto. [332] Certo vi ha spesse volte la viva e splendida fantasia dell’autore del Furioso, e come quegli, nel cui poema risiedono moltissime allegorie che le passioni, i vizi e le virtù qualificano, è più morale; non però ch’egli non istia molto sotto all’immortal Ferrarese per lo ingegno poetico; il perchè la Regina delle Fate non è il più letta che dagl’Inglesi, laddove in tutte le lingue è trasportato l’Orlando Furioso.

Cowley, nato nell’anno 1618 e morto nel quarantanovesimo di sua età, si riputava il maggior degl’inglesi poeti, tranne Spenser e Shakespeare, fino a che non godè Milton della postuma sua fama. Le sole odi anacreontiche di lui si leggono, laddove l’epico suo poema della Davideide non ha più memoria. Citazione/Motto► “Chi legge Cowley? disse il famoso Pope; se può ancor piacere, fia per la sua morale, ma non per quel sofistico suo spirito.” ◀Citazione/Motto Soprabbondava Cowley di concetti, e sempre ingegnoso era e sottile; ma povero così d’immagini come di sentimento, e rade volte sublime. Nè fu da tanto che dal mal gusto del suo secolo, cioè da quello che gl’Italiani chiamarono Seicentismo il quale guastava tutta Europa, si preservasse.

Milton, pochi anni più giovane di Cowley, diede alla inglese poesia più ardite ale, levandola non solo all’altezza della epopeia, ma fino ancora ad un segno di sublimità che per avventura nè poeta antico nè moderno vi aggiunse. Quanto all’effetto morale, e non più oltre, noi vogliamo considerare il Paradiso perduto, e con Johnson notiamo essere tutto ideale il soggetto del poema, nè mostra che sia fatto per l’uomo. [333] E per vero, Adamo ed Eva, quei soli della specie umana che vi abbian parte, sono in uno stato che non puote altr’uomo nè altra donna giammai conoscere. Nessun luogo vi trova il lettore, ove lo possa la sua stessa immaginazione porre, e però non l’attrae, nè lega, se non debolmente. Citazione/Motto► “Questo difetto di umano interesse, dice il predetto Critico, è continuamente sensibile. Il Paradiso perduto è di que’libri che il lettore ammira, lascia e dimentica. È più dover che diletto la sua lettura.” ◀Citazione/Motto Principali attori del poema essendo gli angeli e i demoni, de’quali non si può formare chiara idea, i caratteri che ne ritrae Milton non possono troppo allettare. Ma seppe il poeta superare in qualche guisa tal difficoltà, attribuendo ai demoni, e più a Satanno, umane passioni, siccome orgoglio, ambizione, disdegno, ed eziandio pietà e rimorsi. Non però che il simigliante fia degli angeli giusti, i quali hanno tutti un carattere, perciocchè perfezione esclude le passioni. In quanto ai caratteri umani del poema, sono oltre misura bellissime le dipinture che la innocenza e l’amore forma dei primi parenti. Amore negli altri poemi appare una debolezza: solo in quello di Milton è una virtù. Adamo, secondo che Blair vede, nel ragionare alcuna volta con l’angelo Raffaele e con Eva, forse per rispetto al suo stato, è troppo esperto e sottile. Ma Eva con più verità v’è stampata: chè la qualità del sesso è rilevata sensibilmente con la dolcezza sua, con la sua modestia e con la sua debolezza. Dopo il fallo de’primi nostri parenti, son pieni di forza e [334] di compassione il loro pentimento, i rimorsi e i sospiri d’essere dal terreno paradiso sbanditi. Quella è la espression più fedele degli affetti che dopo un error grave si sentono.

Parecchi altri inglesi poeti dietro a Milton si sono messi per l’epico campo; ma nessun vi corse con tanto vantaggio, che di aver luogo appo lui fosse degno. Per la qual cosa noi di que’soli che alcuna fama acquistarono, qui parleremo. Nel suo Leonida trattò Glover uno de’più magnifici argomenti che alla poesia possa prestare l’antica storia: tali sono i miracoli dell’amor patrio, onde al diluvio de’Persi fecero argine i Greci. Intende il poema ad istillare le virtù di repubblica. Nobili sono e magnanimi i sentimenti, i caratteri con verità pennelleggiati, e lo stile alto, preciso e gagliardo. Ma non fu Glover tanto poeta, che a sì bel soggetto sapesse dare tanto interesse quanto ne potea capire. È scarso d’immaginazione, nè gran fatto colpisce il contrasto de’costumi greci e persiani, de’quali poteano sì splendide uscire e sì differenti pitture. Glover morì nel 1785.

Ripone l’Inghilterra nel primo ordine de’suoi viventi poeti i signori Roberto Southey e Walter Scott, ciascuno de’quali ha pubblicato in dieci anni quattro poemi. Da prima il signor Southey produsse in mezzo il poema di Giovanna d’Arco, composto in sei settimane, senza badare che a dovere scrivere per la immortalità non si vuole risparmiar tempo. Fu soggetto del secondo, intitolato Madoc, lo scoprimento del Nuovo Mondo successo ad un principe Gallese nel duodecimo secolo, e la stanza che di lungo [335] il Missisipì quegli prese. Agli eccellenti soggetti che il trovamento del Nuovo Mondo di Colombo e la conquista del Messico di Cortese gli appresentavano, esso preferì una finzione senza interesse. Nel Thalaba Distruttore, terzo poema del signor Southey, dimora una fantastica mescolanza della mitologia de’Persi, delle invenzioni del Koran, delle superstizioni di Europa. Similmente la Maledizione di Hehama, ultimo poema di questo autore, è tutta edificata sulla mitologia degl’Indi, poco conosciuta e meno dilettevole. Questi poemi nè sono ordinati nella lor tela, nè verisimili nelle finzioni, nè punto naturali in verun forse de’loro caratteri. Poco si briga il signor Southey di dipingere le umane passioni; e que’sentimenti che meglio significa, toccano le cose di famiglia, e specialmente la puerizia: il che legato ad uno strabocchevol gusto del mirabile e del gigantesco, non che alla smania di tutto gaiamente descrivere, lo ha fatto di puerilità biasimare. Afferma il signor Southey, ch’egli non si propose mai di scrivere nel genere epico, giusta la sua opinion tralignato; e dimanda ch’uomo nol giudichi sotto le leggi di Aristotile, come se fuor di ragione e di natura elle fossero. Si diede egli solamente a compor poemi romantici, il cui genere pare aver qualità di mescolare ogni stile, di accidenti inventare senza conformarli al vero ed alla umana esperienza, e di strabocchevolmente adoperare tutte le sovrane potenze, fate, incantatori, maghi, folletti, diavoli ec., e così rinnovare le vecchie favole e le più irragionevoli superstizioni. Veramente, dopo siffatte novelle [336] Poetiche, non avranno più luogo epopeie suffcienti ad allettare gli uomini; ma si è ancor molto dubbioso non abbiano da escirne narrazioni da trastullar solamente i fanciulli. Qual dunque fia il pregio a cui della sua fama il signor Southey è tenuto? Un grande ingegno poetico che scriver gli fece non pur pezzi, ma canti quasi interi, i quali de’maggior poeti sarebber degni. E come che molte fiate egli assai stranamente nel descriver trascorra, pur ha tant’arte che nessuno lo avanza.

Similmente, per non apparire imitatore, il signor Scott si è dato al genere romantico. E per certo chi senza disegno scrive e senza regole, non può temere di somigliare ad altrui. Ma non però che a tutti i poeti romantici sia naturale la irregolarità: che le più volte deriva da una imitazione sì facile come biasimevole. Nel poetico ingegno il signor Scott è più alto del suo emulo signor Southey, e più vario, più giocondo e men disuguale. Ma tutto che abbia meno difetti, gli è pari nell’abuso della miracolosa facilità sua, da che egli ancora in breve tempo quattro poemi ha pubblicati, il primo de’quali ha per titolo il Canto dell’ultimo Bardo, ricco di descrizioni e di bellissime dipinture dei costumi e delle usanze che nel sedicesimo secolo tenevano i montanari di Scozia. Il secondo è Marmione, romanzo di cavalleria tratto dai tempi di Enrico Ottavo, dove il poeta, per fuggire imitazione, invece di formare un eroe di magnanimità e di fede, lo ha fatto barbaro e disleale. Il terzo è la Visione di Roderico ultimo re dei Goti in Ispagna, che la [337] profezia delle rivoluzioni contiene di questo paese, senza avere un’azione nè un carattere, ma sole e quasi continue descrizioni. Il quarto è la Donna del Lago, più romanzo che poema, in cui seggono le scene e le costumanze medesime del Bardo; ma nell’universale questo componimento alletta più che nessun altro dei signor Scott, per una pittura di caratteri più variata e più fedele.

Pare che gl’Inglesi si accordino nel largire a lord Byron il primo posto nel Parnaso romantico; nè si può a lui rifiutare il vanto di avere ingrandito la romantica letteratura colle molte sue poesie, le quali lo han fatto venire in fama nell’Europa. Perciocchè fornito di un singolar genio, dall’estro e dalle passioni animato, sdegna le regole dell’arte, e si lascia portare da tutti gli affetti che prova e da tutti gli slanci della immaginazione: onde nelle sue poesie si ritrova per tutto non pur l’impronta del suo carattere e l’istoria della vita e delle sciagure sue, ma i pensieri, i desiderii e le passioni sue sotto mille forme diverse. Ora si finge corsaro ed or rinnegato, e tale altra volta si pone alla testa di un popolo in rivolta; ed ogni ora il leggitore intentamente lo siegue, trovandolo ogni ora originale, e veggendo gli obbietti rappresentati coi più forti e più vivaci colori. Un’altera misantropia, un superbo fastidio della vita, una inclinazione a locare gli eroi in orribili e straordinarie situazioni, questo ancora è ciò che lo divide dagli altri poeti.

Se l’unità dell’azione è qualità più essenziale in un poema che un ordine regolare, si può [338] quel titolo ricusare alla più parte delle Opere di lord Byron. Esse mancano oltre a ciò di quella interezza nell’esecuzione, di quella grazia nelle particolarità, di quella perfezione nel tutto, le quali constituiscono in tutte le arti le Opere di rara eccellenza. Ma se questo poeta non ha, nè si briga di avere il pregio dei classici, ha però una originalità che lascia nell’animo una impressione profonda, e desta nell’immaginativa un misterioso interesse. Pieno d’immagini e d’armonia è il suo stile, ed al maggior grado possiede la tanto rara grandiloquenza poetica; e questa si è la più splendida parte dell’ingegno suo, come che l’energia delle sue espressioni spesse volte, si accosti all’enfasi, e la sua precisione caschi tal fiata nell’oscurità. Ma lord Byron a malgrado de’suoi difetti vivrà, massime per non avere scritto affine di scrivere, e per essersi egli immerso tutto quanto nelle sue poesie, siccome dice egli stesso: vivrà, perchè il suo libro, come quel di Montaigne, è egli stesso.

Se cercasi qual è l’effetto morale delle sue poesie, non è cosa agevole a discernerlo, e spesso ancora si stimerà che elle producono un effetto contrario. Troppo sono fuori del comun ordine e della verisimiglianza le favole da lui inventate, da poter offerire esempi che nella condotta della vita sieno applicabili. Studia egli e ritragge la natura; ma vedela a traverso di un nero prisma, il quale non porge le giuste proporzioni degli obbietti, ma gli esagera, e lor dà sempre una tinta lugubre e bizzarra. Dipinge ognora le impetuose passioni con [339] una fedeltà spaventevole; disfogasi continuamente in amare lagnanze; e gli affetti che inspira, non sono quelli di un amico degli uomini.

Non ci piglieremo l’incarico di dar quivi contezza dei diversi poemi di lord Byron. È noto che giovane ancora egli ha pubblicato dieci volumi di poesie; fecondità ordinaria a’poeti romantici, e che è per avventura originata così dalla facilità di quel genere, come dal lor genio. Noi faremo solo menzione di quello che per la sua qualità dee più particolarmente allettar gl’Italiani, intitolato le Profezie di Dante. Elle sono le espressioni del senso di dolore cui lo straniero prova alla vista di questa terra d’Allori e di Rose, come la chiama lord Byron, tanto cangiata dopo i secoli della sua gloria. Ma è da dolere che questo poeta, siccome quasi tutti gli stranieri che hanno scritto dell’Italia moderna, abbiano trascurato di mostrare le vere cagioni di questo mutamento. Il celebre istorico Sismondi è il solo che le abbia indicate nell’ultima parte della sua Storia delle Repubbliche italiane dell’età di mezzo.

Ai predetti due poeti non mancano imitatori fra quei tanti ingannati dalla novità, dall’esagerazione e dal falso fuoco. Se non che nella sua Geltrude da Wyomin, annoverata fra i poemi romantici, il signor Tommaso Cambell non si è lasciato abbarbagliare ai matti lampi del nuovo stile; ed a quello dei classici inglesi si è tenuto stretto, seguendo natura per modo, che se alcuna volta l’arte apparisce, non è mai l’affettazione di quella, e neppure della [340] singularità, dei disordini e della rozzezza. In quel poema, la cui scena è nella Pensilvania, avvi un allettamento che mai nè per minuta particolarità, nè per superflue descrizioni intiepidisce. Fedele e vivace è la pittura dei costumi, e teneri i sentimenti e pietosi; e moralmente vi si vuole l’orrore della guerra ispirare.

Assai presso gl’Inglesi è coltivata la poesia eroicomica, ovvero l’epopeia scherzevole, come essi la chiamano, di cui senza contraddizione il miglior poema è il Riccio rapito di Pope. Ma qual che sia la sua bellezza, nè si può al Leggío di Boileau preporre, nè pareggiare, come certi critici inglesi hanno fatto. Cede a questo il poema di Pope non che per lo poetico stile, ma per l’invenzione ancora, e per la dipintura dei costumi e dei caratteri. Dopo aver formato in due canti il suo poema, corse alla fantasia di Pope che fosse da cacciarvi entro il maraviglioso; e immaginò le favole de’Cabalisti, i Silfi, i Gnomi e tutti i popoli aerei; salvo che queste meraviglie, le quali non appartengono alla sustanza del soggetto, nessuna Opera vi fanno di piacere nè di allettamento. Se pogniamo mente ai caratteri, che vogliono dire il Barone e Belinda, e la contegnosa Clarissa e Talestri, e il cavalier Penna, e Ariel silfo, e Umbriel gnomo? Il poeta non dice nemmeno chi fossero Belinda e il Barone, e quali attinenze avessero tra loro. A nessuno de’suoi personaggi è data una figura drammatica. Certo le allegorie sono ingegnose, e più quella della Melancolia, cioè della Dea dei Vapori. Ma in paragone di quella della Mollezza, [341] con tanta arte nel Leggío inframmessa, son fredde. Similmente la battaglia delle aste contro i fiori e dei cori contro i quadri, ovvero la strana contesa degli uomini e delle femmine, la quale fa fine al poema, ed ove Belinda con un fumo di tabacco e con un ago di testa abbatte il Barone, non sono possibili a compararsi agli artificiosi ed acuti e satirici combattimenti dei cantori e dei canonici del Leggío, che tutti i libri della bottega di Barbin si gittano in capo. Gli esseri o naturali o immaginati che impiega Boileau, sono di necessità tutti e ne conseguono effetti grandissimi. La censura dei costumi, sempre dipinti al vivo, diviene per un suo delicato scherzare più mordace. Laddove altro non dà Pope se non se una censura molto comunale contro gli zerbini e le civette; e la sua maniera di motteggiare, la quale consiste nell’approssimare un grande ad un piccolo oggetto, è frigida, e più quando è replicata 1 .

Da un amico di Pope, Gay, fu composto sul Ventaglio un poema, nè senza leggiadria, nè senza piacevolezza; salvo che poco diletto porge al lettore una finzione mitologica dilungata in tre canti. I costumi e i caratteri che vi ritrae, sono l’immagine delle moderne conversazioni che bizzarria condisce e ridicolezza.

Quasi general giudizio dei critici inglesi pone dopo il Riccio Rapito l’Arte della Danza di Jenyns, poema più morale che didattico, come quello che appresenta dilettevoli pitture, caratteri [342] disegnati con una maniera aggradevole, ed uno stile tutto grazioso e gentile.

Come nelle altre nazioni, così fra gl’Inglesi l’arte drammatica ha giovato alla dipintura dei costumi e dei caratteri; e si può bene affermare che la libertà di che godono, porse agio ai drammatici autori di trattare vie più soggetti, e quelli con più spazio disviluppare. Indi è certamente che le passioni di lor tragedie sono animate d’un fuoco che generalmente non arde presso gli altri popoli; e nelle commedie loro sentesi quell’humour, cioè quella tempra di gaiezza satirica che le fa singolari. Ma questa libertà trapassata in licenza due danni ha causati, i quali rendono da qualche lato il loro teatro da meno che l’antico e il francese. Il primo sta nel disprezzo delle regole, per cui spesse volte confondono l’un genere con l’altro, e scemano il verisimile; il secondo è una sfrenatezza che li conduce a guastar la convenienza e l’onestà, e che la pittura dei costumi e dei caratteri, la quale d’altra parte è fedele, fa viziosa.

Cinque autori a se stessi coetanei son per gli Inglesi tenuti padri del lor teatro, e questi sono Beaumont, Fletcher, Shakespeare, B. Johnson e Massinger. A volere rigidamente giudicare, nè tragedie, nè commedie sono i drammi di questi scrittori, ma componimenti d’una specie particolare, formati di persone serie e comiche, e di casi aspri e piacevoli. Shakespeare tutto che maggior d’ingegno che gli emuli suoi, pur non porse loro esempio di sè, anzi ne fu minore in genere per la conoscenza dell’arte. Si [343] disdirebbe all’argomento di questo Saggio il recitar qui tritamente le particolarità d’uno scrittore che per tutto è reputato uno de’più alti ingegni che al mondo letterario mai si levassero. Noi dopo aver notato con Johnson essere grandi i suoi difetti a segno di eclissare i meriti di tutt’altri che i suoi, ci limitaremo a considerarlo solamente come un pittor dei costumi e dei caratteri, e come un moralista.

Shakespeare è il poeta della natura, che porge al lettore uno specchio fedele dei caratteri e dei costumi. E nota che non sono espressi i suoi caratteri dalle usanze de’luoghi, nè dagli atti particolari di certe abitudini o mestieri, nè dagli accidenti di transitorie opinioni, o di mode fuggitive: ma sono attinti dal fondo della umana natura, di quella, dico, che in tutti i tempi e in tutti i luoghi d’uno stesso aspetto appresentasi. Nè operano nè parlano i suoi attori che per lo incitamento dì queste universali passioni che toccano tutti i cuori, e il movimento di tutto l’ordine del mondo morale ritengono. Per la qual cosa negli scritti di altri poeti più fiate un carattere è un individuo, quando in quelli di Shakespeare è le più volte una specie. Similmente gli altri poeti drammatici non sanno allettare ed attrarre altrui se non caricando i caratteri, facendo eccedere i vizi e le virtù, e fare e dire per modo ai loro attori che mai così non fecero nè dissero gli uomini; onde chi li vede in teatro, non li ravvisa nel mondo. Le più lontane cose Shakespeare avvicina, e semplici rende le più mirabili; e scolpisce [344] l’uomo non pur qual egli è nelle circostanze comunali, ma qual sarebbe ancora negl’inusitati casi ch’ei presume. Nelle sue opere inchinava Shakespeare per se stesso maggiormente alla commedia. E per vero, nelle sue tragedie egli eziandio con apparenza di studio e di fatica scrisse cose le quali meritavan poco gli sforzi che gli costavano; dove nelle comiche scene par che senza pena edifichi ciò che a gran pena non saprebbe altro ingegno sì ben fornire. Il perchè in tragedia spesso l’arte mena sua penna, in commedia la natura.

Biasimo a Shakespeare fu dato dell’essersi più brigato di dilettare che d’ammaestrare, di avere per la convenienza tradita la virtù, e di aver scritto senza proponimento morale. Citazione/Motto► “Dalle sue Opere, dice Johnson, si può trarre un ordine di sociali uffici, perciocchè non può persona che argomenti, scrivere senza moralità: ma non che i suoi ammaestramenti e le sue massime cadano a provveduto fine; lasciando egli fare e ragionare a’suoi attori secondo il lor carattere, nè s’ingegnando di accendere l’amor del bene e l’odio del male; per cui non adopera che a caso l’esempio loro. Nè scema parte alcuna a questa riprensione la idiotaggine del secolo di Shakespeare; perciocchè debito è di ogni scrittore il dar opera che gli uomini diventino migliori; e giustizia è una virtù, la quale nè da tempo nè da luogo dipende.” ◀Citazione/Motto

D’una rampogna che non ha men fondamento è rimorso Shakespeare, cioè di essere detrattore della più bella metà del genere umano. Non [345] avvien quasi mai ch’egli meni una femmina sulla scena senza intenzione di avvilire il carattere di quel sesso. La stupida semplicità di Desdemona, la follia d’Olivia, la crudeltà di Macbeth, e le triste doti che generalmente distinguono le altre, dimostrano stargli molto bene questa censura. Ultimamente pecca di un tal difetto Shakespeare, che quell’entusiasmo onde per lui s’innebriano gl’Inglesi, dovrebbe pure ammorzare, perch’egli non ha punto spirito di libertà. Citazione/Motto► “Converrebbe, dice Upton, ch’egli, non altrimenti che Sofocle ed Euripide, fosse senza adulazione. I comuni suoi luoghi in favor dei re putono di bestemmia. Pare che quando tocca un soggetto di storia romana, egli tema di render suo dritto ai cittadini; sempre tiene coi patrizi. Veggendo i colori onde sempre dipinge i tribuni ed il popolo, si direbbe ch’egli fosse stato cresciuto nella Corte di Nerone.” ◀Citazione/Motto Aggiungi ancora, che nessun conto Shakespeare tiene della differenza de’tempi e de’luoghi, nè si fa coscienza di attribuire ad un secolo e ad una nazione costumi, usanze ed opinioni di un’altra età e di un altro popolo. Come che questi vizi vadano a menomar l’effetto de’suoi componimenti, non tolgono ch’egli sia l’un de’maggiori pittori della natura.

Beaumont e Fletcher, i quali faticarono tanto insieme, che quello che a ciascun s’appartenga non si discerne, composero drammi misti, come fece Shakespeare, in cui molto signoreggia la parte comica. Molta fantasia e belle scene s’incontrano nei loro componimenti; ma traboccano [346] generalmente di accidenti da romanzi ed inverisimili, di gonfi e poco naturali caratteri e di allusioni grossolane. La lor parte comica sente un poco del bizzarro, e move più maraviglia che diletto.

Più regolare di Shakespeare ne’suoi componimenti è B. Johnson; nè scarso è di drammatico ingegno; e per la vera è gagliarda dipintura delle passioni e dei caratteri piacerà sempre. Dottissimo era, e grande intenditor degli antichi classici, da sè le più volte anche troppo servilmente imitati. E questa è la ragione perch’egli ha una sembianza artificiata e pedantesca che lo allettamento diminuisce delle sue composizioni. Di B. Johnson due tragedie vanno a torno, la Caduta di Seiano e la Congiura di Catilina; nelle quali si commenda la verità della storia, la gravità dello stile e la gagliardia del sentimento. Le migliori sue commedie sono l’Alchimista, Ciascuno a suo modo ed il Furbo, ch’egli italicamente ha intitolato il Volpone.

Ai quattro scrittori drammatici onde abbiamo tatto di sopra menzione, non cede punto Filippo Massinger; e quanto durerà la lettura e la lode delle Opere di Shakespeare, tanto le sue fian lungi dall’obblivione. Sicuramente della invenzione, del bello stile, della forza satirica e comica e della conoscenza degli uomini è egli da lodare; se non che troppo oltre ha sospinta la libertà della lingua. E per avventura i suoi componimenti sono meno regolari che quelli de’suoi contemporanei, e la trama n’è talora sì difettosa che par se ne muti l’azione.

[347] Con questi cinque autori drammatici del secolo inspirato (così lo appellano alcuni critici inglesi, perchè partorì que’fortunati ingegni i quali tutto alla natura e niente sembran all’arte dovere), è chi ripone anche Giovanni Ford, più irregolare e minor di loro nel genere comico, non ostante che abbia scene degne di Shakespeare. È più che in altro eccellente nel rilevare i caratteri e i costumi della giovinezza e delle donne.

Il terzo seggio nello inglese Parnaso generalmente concedesi a Dryden, che scrisse ancora per teatro ventisette Opere. Nè di vita, nè di vigore, nè di moto le sue tragedie abbisognano; ma patono grande sconvenevolezza di linguaggio e di carattere. L’Antonio e Cleopatra, il Don Sebastiano e l’Aurengzeb sono le sue commedie, e la più parte così sfrenate e colme di tanto scandolo, che dopo la prima rappresentazione furono vietate. Dryden s’accorse da se stesso di non avere grande ingegno drammatico; e Johnson dice che ciò che ha di passione e di comico, non par gli venisse da natura, ma dagli altri poeti; e che questo se non gli accade sempre come ad un copiatore, gl’incontra almeno come ad uno imitatore. Faticò Dryden alcune volte con Nathaniel Lee, e specialmente nella tragedia del Duca di Guisa. Di questo ultimo la tragedia migliore è Teodosio, ovvero La forza di Amore, ed ha molte scene affettuose e calde; ma la tela è da romanzo, e la passione esagerata.

Molto da più che Dryden è Otway, e forse dopo Shakespeare il miglior Tragico inglese. Morì [348] di trentaquattro anni, vivuto sempre nelle avversità. L’Orfano e Venezia salvata sono le migliori sue tragedie. Aveva tragico l’ingegno; e ritrasse le passioni con la forza e col linguaggio lor proprio: nè altro autore è più vivo, nè più commovente, nè di maggior effetto in teatro. Ma non v’ha, secondo che Blair dice, verun autore tragico che sia meno morale di lui. Perciocchè, invece di concetti forti e magnanimi, egli spira le più volte un alito di licenza, e per entro gli accidenti più tragici adduce laidezze e pensieri disonesti.

Alle tragedie di Otway perfettamente si contrappongono quelle di Rowe, come di colui che di alte e morali sentenze le ha piene, e muove amore alla virtù. Che se questo autor tragico non trae fuori con molta forza nè di profondo le passioni, e poche volte induce terrore e compassione; pure serva regola e misura ne’suoi componimenti, non è scarso di commozione, ed il suo stile è sempre naturale, leggiadro e poetico: per la qual cosa a lui più che a Otway sta bene il soprannome di Racine inglese. La Calisto, ovvero la Bella Penitente, e Giovanna Shore, sono le più grandi Opere di Rowe.

Quantunque più nominanza abbia Congreve per le sue commedie, pure scrisse una tragedia, la Sposa in lutto, ove sono di belle situazioni e scene molto eloquenti, e singolarmente i due primi atti sono maravigliosi. Questo componimento mostra assai bene che Congreve aveva ingegno per entrambi i generi drammatici, non ostante che nel tragico spesso egli non sia naturale, nè semplice.

[349] Il Catone, tragedia del celebrato Addisson, è tenuta e commendata nel teatro inglese per la più regolare. Ma che vai questa regolarità in un componimento la cui tela è soverchiamente nodosa, ed ove è poco moto, e le secondarie passioni, vuote d’interesse, infreddano eziandio quello dell’azion principale? Citazione/Motto► “Questa tragedia, dice Johnson, è un poema in dialogo, anzichè un dramma.” ◀Citazione/Motto Del quale avviso fu Pope ancora quando ad Addisson diede consiglio di far la sua composizione stampare, senza avventurarla alla rappresentazione. Non pertanto essa fece il rumor grande, come quella che dai partito dei Whigs, onde esponeva i principii e i sentimenti, fu sostenuta. A parere di Blair, il pregio di questa tragedia dimora nella dignità del carattere di Catone; e sì nei sentimenti di virtù e di amor della patria, dei quali è sparsa, nella morale forma dei pensieri che la nobilitano, e sì ancora nello stile sempre alto, ornato e semplice.

Le predette tragedie del teatro inglese, dopo Shakespeare e suoi coetanei sin verso l’uscita del secolo diciassettesimo, son le migliori. Nè le commedie fatte entro lo stesso tempo son già da meno; salvo se dir non si volesse, aver quasi tutte il vizio di ritrarre i malvagi costumi in guisa che n’è scandalo: il perchè non che esse producano un effetto morale, passano i termini della convenevolezza e della onesta. Nel detto tempo i più grandi autori comici furono Cibber, Vanburgh, Congreve, Farquhar, Steele eo., de’quali il primo scrisse ventisei drammi, che sebbene parti d’un ingegno comico [350] e scritti con un dialogo vivo, naturale e gaio, pur gl’incidenti e l’avvolgimento hanno così romanzeschi, e sì poco simili al vero, che nel teatro due sole, il Marito negligente e il Marito provocato, ne rimasero. Quella, eccettuata una scena, anzi dissoluta che no, mostra un fine morale assai notabile. Questa, che fu da lui composta in compagnia di Vanbrugh, è senza questione l’una delle più buone commedie del teatro inglese, non ostante che l’intrigo sia doppio: ma naturali sono i caratteri, comiche le situazioni, e pieno il dialogo di sale e di gaiezza. E perciocchè onesta e costumata abbastanza è la censura dei vizi e dei ridicoli, maraviglia è che due scrittori tanto sfrenati abbiano una volta potuto fra i moralisti introdursi.

John Vanbrugh di quel medesimo ingegno comico fece mostra nelle due migliori sue composizioni, che sono la Moglie provocata e i Recidivi, come che tratto tratto egli rompa le leggi della convenevolezza e della modestia.

Originale scrittore, il quale nella sostanza de’suoi componimenti, come anche nel dialogo, non imita persona, si è Congreve. I suoi caratteri sono sollazzevoli, ma poco naturali alcuna fiata; e i suoi dialoghi, tuttochè salsi e vivaci assai, spesso sono troppo composti e troppo artificiali, nè somigliano la conversazione di gente eziandio dotta e letterata. Disse Johnson: Citazione/Motto► “Egli è come una scherma di spirito, nella quale ogni personaggio, qual che sia la sua condizione, intende a dare o parar colpi. Stupefanno altrui più che non dilettano le sue [351] commedie, e più spesso l’ammirazione che il riso producono.” ◀Citazione/Motto Le sue migliori sono il Furbo, la Scuola del Mondo, l’Amor per Amore; e nota che quest’ultima più che l’altre contiene la dipintura fedele ed onesta dei costumi.

Men corretto e men forbito di Congreve è Farquhar, se si dee come uno scrittor considerare; ma più forza comica, ed un più liscio e più naturale andamento e più buon’aria possiede. Sventura fu che non abbia egli con più modestia scritto. Le sue migliori commedie sono gli Stratagemmi d’un Zerbino e l’Ufficiale arruolatore.

Gay, nell’Opera dei Pitocchi, fa sembiante di volere alla licenza dei Comici suoi coetanei fare una mala aggiunta, quando non che malvagi costumi, ma colpe e misfatti mise sulla scena. Conciossiachè nel suo dramma il principale personaggio fosse un ladro di strada, il quale non faceva altro mestiere, e per l’ingegno, e per l’ardire, e per la generosità, e per le altre buone sue doti si rendeva un uomo degno d’imitazione. Per la qual cosa furono parecchi giovani che caduti in prigione per ruberie sopra la strada commesse, si vestirono il carattere di Macheat, nè altrimenti si governarono che questo eroe dell’Opera dei Pitocchi: e Fielding, ufficiale di polizia, non pur sulla sua fede affermava che qualunque volta si rappresentava questo dramma, tanto cresceano gli assassini; ma richiese ancora che la rappresentazione si dovesse interdire.

Steele, più noto assai come autor principale [352] dello Spettatore, più commedie scrisse, le quali non sono state dal teatro rimosse. Sono esse nel genere del dramma misto, e rispetto alla morale non meritano riprensione.

La sfrenatezza dei comici scrittori onde abbiamo finora trattato, più che altrove, è notabile nel modo con che i caratteri delle donne disegnano, perciocchè non introducono mai queste se non sono di cattiva vita e scostumatissime, ovvero spigolistre sotto una ridicola affettazione. Laonde saria da far quistione, se a que’tempi si conoscessero donne amabili e virtuose. Vero è che contro questa licenza di teatro presero le armi i moralisti; ma nessuno ne riuscì meglio di Collier, il quale con una scrittura vigorosa ed ardente fece vedere che il teatro, dovendo essere la scuola de’buoni costumi, se trascorre in licenza, divien dannoso e micidiale alla società. Gli risposero Congreve e Vanburgh, assottigliandosi per giustificar se stessi e quei della lor gara; ma provocaronsi una replica siffatta che li strinse a tacere. Tanto di vita ebbe Collier, quanto potè vedere il cominciamento della riformazione del teatro.

Fu perseverato nell’ultimo secolo a dovere il teatro inglese correggere, non che per quanto all’arte, ma per quanto ancora s’appartiene al fine morale. Conciofossechè sanamente poi s’intendesse che se il non servar regola porge all’autor drammatico più modi e più vie per movere affetti dolci e terribili, da ciò non può venir così continuata illusione e così compiuta, come dalle grandi Opere del teatro greco e francese suole procedere. Il famoso Young compose [353] tre tragedie, ma sola una di quelle, cioè la Vendetta, come che patisca difetto di patetico e d’interesse, fa fede d’uno ingegno drammatico. Disse Johnson: Citazione/Motto► “Concetti morali sono ivi posti ed espressi per modo, che tutta la novità la quale desiderar si potesse, appresentano.” ◀Citazione/Motto Di siffatto pregio non sono dotate le tragedie di Thompson, dachè sentenze morali vi soprabbondano in guisa che le raffreddano, mostrando elle spesso l’autore invece dei personaggi. Non però che tra queste sian da porre il suo Tancredi e Sigismondo; perciocchè questa tragedia, tra per lo andamento e i caratteri, e per li sentimenti vince di tanto la Sofonisba e lo Agamennone, che fra le più buone inglesi risiede. Per simile si dà lode al Barbarossa e all’Atlestano di Brown, all’Irene di Johnson, al Gustavo Vasa di Brooke e al Carattaco di Mason. Poche tragedie sufficienti ad accender amor della patria e della libertà sono da comparare a queste ultime due. Dopo le tragedie di Rowe, il Douglas di Home è tenuta la migliore che sul teatro inglese apparisse: salvo che alcun pregio le toglie l’aver molto preso dalla Merope del Maffei, e l’aver imitato anche l’Alzira di Voltaire. Le altre tragedie di Home assai son da meno che il Douglas. Tenne appresso Voltaire sullo stesso argomento Murphy nel suo Orfano della China, sebbene con altro ordine; se non che venne a lui meglio fatto di riprendere che non di pareggiare quel gran poeta. Non pertanto la sua Donzella Greca torna spesse fiate sul teatro inglese, e non è mai che non porga diletto.

[354] Gl’Inglesi contano il Giuocatore di Moore e la Carmelita di Cumberland, drammi pieni di commozione, d’interesse e di moralità, come qualunque altro nella schiera delle tragedie. Entro la prima gli effetti della sventurata passione del giuoco sono per maniera descritti, che gagliardamente feriscono gli animi.

Ancor più dame inglesi seppero entrare nello stuolo de’tragici autori: ma qui farem solamente menzione della signora Anna More e di madama Baillie. Quella molte tragedie scrisse, delle quali una sola, nominata Percy, fu posta in sulla scena e ne riuscì bene; la quale tutto che sia imitazione di Gabriella de’Vergi di Du Belloy, vince pure l’originale. Questa poi si avvisò di fare un corso di drammatica morale, trattando in ciascun suo componimento una passione; ma non si volle alle teatrali unità sottomettere, per dare ai suoi temi tutti quegli scioglimenti che si convengono. La tragedia del Monteforte, ovvero l’Odio, quella del conte Alfred, ovvero l’Amore, quella di Ethwald, ovvero l’Ambizione, fecero lei sedere fra i più buoni autori drammatici.

Se il comico teatro inglese fu riformato, ne dee sapere grado, secondo Hume e Chesterfield, principalmente all’esempio di modestia e di moralità del teatro francese. Molto ancora a ciò diede opera il nuovo genere di commedia sentimentale, dove più nelle sentenze che nell’azione scontrasi la moralità. Non sì però che nell’antico genere molti autori non s’illustrassero con la variata dipintura dei costumi; e fra costoro siede il famoso volgarizzatore di [358] utilità, più che dal buon gusto, consiglio. Un altro autor comico di molto pregio, cioè Cumberland, imitò Kotzbue nella sua Giovanna, da lui stesso chiamato romanzo drammatico. Ma la maggior Opera di sì mostruoso genere è lo Spettro del Castello di Lewis, già famoso autore del romanzo intitolato il Monaco. Il dramma è degno del romanzo.

Se vi ha alcun genere di poesia che gl’Inglesi debbano esercitar lodevolmente, questo è la satira; conciossiachè oltre quella tanta libertà di scrivere di qualunque soggetto, hanno il vantaggio di una lingua ricca, la quale agevola la dipintura eziandio delle più minute cose, mentre che i suoi vocaboli, i quali per lo più sono monosillabi, consentono loro di stringere nel verso i sensi e di aguzzare il taglio della satira. Vi si provò per primo Donne, l’uno dei padri dell’inglese poesia, il cui stile è invecchiato, ma si ebbe il suo valore, dachè Pope non isdegnò di tornare il linguaggio antichissimo di lui a giovinezza. Più alto volo diede alla satira Dryden, che con Ruckingham compose da prima in versi un Saggio sulla satira, nel quale ogni precetto diventa un esempio; e poi scrisse altri componimenti satirici, ai quali nessun altro nell’inglese idioma andò di sopra; se non che lo allettamento e il fine loro, perciocchè investivano o le persone o la politica del loro tempo, è distrutto. Butler lasciò scritte nove satire, ma non così note; come il suo poema satirico d’Hudibras, il quale, come si sa bene, imita con bizzarria il Don Chisciotte; e Butler si avvisò di poter render ridicoli i capi delle [359] civili dissensioni. Nè gli si vuol negare ch’egli ebbe uno spirito pungente ed originale; ma certo è ch’egli più maraviglia produce che diletto; e per peggio essendo del suo tempo e de’suoi luoghi i costumi ch’egli dipinge, incontra che ogni giorno alletta di meno, e meno ancora s’intende.

Il conte di Rochester, uno de’più cari a Carlo II, due satire, l’una contro l’uomo, imitando quella di Boileau, e l’altra contro il matrimonio, scrisse con molta forza di locuzione e con un caldo di fantasia che di un gran poeta fanno argomento; salvo che generalmente sono così scostumate, come fu l’autor loro. Il poema satirico di Rochester sopra il Niente è reputato la sua più grande Opera, nè merita la riprensione delle sue satire.

Non fu molto poeta il celebrato Swift; pur s’attentò di scriver versi satirici; ma conoscendo l’ingegno suo, si diede alla satira famigliare, nella quale gli venne fatto di ritenere quella ammirabile semplicità di stile onde egli è illustre sopra tutti gl’inglesi scrittori; nè pertanto di meno abbonda di spirito, di sale, e vi mostra pur quel suo proprio conio originale. Egregia sopra tutte le sue composizioni satiriche è quella sulla sua morte, la quale si fonda su questo concetto di La Rochefoucault: Citazione/Motto► “Nelle sventure dei nostri migliori amici noi troviamo sempre alcuna cosa che non ci spiace.” ◀Citazione/Motto Il perchè esaminò tristamente il core umano; la quale disamina non fa molto onore all’uomo, ma per isciagura troppe volte dalla conoscenza del mondo è confermata.

[360] Recò Pope nella satira inglese quella graziosa dimestichezza, quel gaio spirito e quella scherzevole malignità che fu propria di Orazio; ed avendo rimesse in nuovi versi due satire di Donne, ne imitò tre di Orazio, volgendole ai moderni costumi; e tre ve ne aggiunse del suo, le quali non sono disdicevoli compagne delle imitate. Per simile le Pistole morali di Pope, non altrimenti che quelle di Orazio, poco si discostano dalle sue satire, e discorrono sull’indole delle donne e dell’uomo e sull’uso delle ricchezze. La prima, giusta l’avviso di Johnson, è il più perfetto lavoro che uscisse dalle sue mani. In tutte vi sono dipinture molto ingegnose e splendide, e satiriche ancora. Di Pope l’Opera più da considerare, e più per lui lavorata, è la Dunciade, poema satirico, e come quello che alla vendetta è consecrato, vacuo di ogni fine morale.

Il notissimo Young scrisse satire le quali non sono, come le sue Notti, ingombre di malinconia nè di sconforto. E perciocchè egli è sempre originale, così non somiglia a se stesso nelle sue diverse Opere, come sempre si dissimiglia da tutti gli altri. La forma delle sue satire tiene il mezzo fra Orazio e Giovenale. I suoi caratteri sono con giudizio scelti e con forza, ma delicatamente pennelleggiati. Aguzze ha le punte delle sentenze, e saettan forte i suoi distici epigrammatici. Citazione/Motto► “Egli non dipinge, disse Johnson, se non la scorza della vita, nè ricerca dentro le piaghe del cuore: il perchè dopo la prima lettura vien meno l’effetto de’versi suoi; e danno più maraviglia che piacere i [361] suoi sali.” ◀Citazione/Motto E nota che quel poeta, il quale non si potea consolare della morte della sua figlia e della sua moglie, scrisse due satire contro le donne; salve se dir non si volesse che tutti i poeti satirici, seguitando Giovenale, hanno creduto lor debito il trattare il cosiffatta materia, come che Orazio, più filosofo di tutti quanti, non ne avesse lor dato esempio.

Johnson, sì spesso per noi citato come critico, formò due satire che bastarono a dargli luogo fra i primi Satirici inglesi, e queste furono Londra e i Voti, l’una tratta dalla terza e l’altra dalla decima satira di Giovenale: nelle quali dipinge i costumi, batte i vizi e i ridicoli, senza assalir mai persona; il perchè la satira non ebbe mai più nobil fine nè più perfetto adempimento. Ma Paolo Whithead non si consigliò di tener modo e misura, come Johnson saviamente fece: chè la sua satira dei Costumi investì quei di più alta sfera nella Corte, e concitò processi e persecuzioni. Altre ancora ne scrisse, le quali salgono fino allo stil di quelle di Pope, e forse con più caldo e con più vigoría. Egli compose pure delle Pistole, tenute in molto pregio. L’autore del poema sul Ballo, Jenyns, fece due satire molto salse e motteggevoli, intitolate il Galante e la Civetta, nelle quali prende a scherno questi ridicoli, che presumono di essere oracoli ed esempi del più alto e del più bel vivere. Fra i poeti satirici si può accogliere ancora il dottor Brown, che compose un pregevol saggio sopra la satira, e lo distinse in tre parti: la prima delle quali tratta del fine della utilità della satira; [362] la seconda porge le regole, e la terza qualifica i principali poeti satirici, così moderni come antichi.

Pochi Satirici si fecero così cari e graziosi al popolo, come Churchill, le cui satire per lo più sono intorno le cose politiche. Questi si avvisò di poter i soggetti presi dalle circostanze convertire in componimenti che allettamento avessero e durabilità, fidandosi dell’ingegno onde egli era acceso; ma riconosciuta ancora per vera questa sua dote, oggimai delle Opere sue non si legge, se non se la Rosciade, gravida di censure sopra i costumi delle compagnie teatrali. Appresso la Rosciade i migliori poemi di satira sono la Baviade e la Meviade di Giffort, e la Nuova Guida di Bath di Anstey: il primo de’quali riprende il mal gusto e lo spirito di affettazione, e di mostrarsi esquisito, onde alcuni poeti del suo tempo erano compresi: ed il secondo morde coloro che il genere romanzesco e l’uso delle macchine cominciarono nel teatro. Nè solamente sanno di sale, e graziosi sono e piacevoli questi poemi, ma recano ancora in sè molta immaginazione ed uno stile eccellente. La Nuova Guida di Bath assai dilicatamente e con acume batte i costumi e la vita di coloro che usano i luoghi ove per la sanità delle acque, e molto più per diporto e per piaceri, si accoglie moltitudine. Felicissime allusioni ai classici autori, una ironia sottile e bella, e molte artificiose e verisimili dipinture in quel poema risiedono. Scrisse Anstey secondamente il Ballo d’Elezione, il quale come la forma è la sostanza, così la forza e il pregio [363] ha del primo. Leggesi ancora di lui una satira molto pungente intitolata l’Anatomia del Prete.

Il poema morale fu tanto per gl’Inglesi coltivato, quanto la satira. L’uno in questa specie dei più reputati è quello di Riccard Blackmore chiamato la Creazione, ovvero le Prove dell’Esistenza di Dio. Larghissimo è il disegno, ottimo l’ordine e felice la esecuzione. Conciossiachè Blackmore sappia annodare in versi ragionamenti poetici: e se non fosse che da prima quattro poemi epici pubblicò nei quali era disordinatamente scorso in una incredibile facilità, egli sarebbe ancora più celebrato. Prior, che con le poesie leggiere acquistò molto grido, fu d’avviso di fondare più saldamente il suo nome con un gran poema, e scrisse il Salomone, cioè l’umana Sapienza. Ma quantunque il poema in molti tratti sia bello, perciocchè esso non alletta altrui, pochi leggitori incontra. Fra’più alti poemi morali e filosofici è tenuto il Saggio sull’Uomo di Pope; il quale si può chiamare, anzichè un poema, una sequenza di quattro Pistole, le quali si appiccano insieme e fanno vista di aspettare alcuna giunta. Non sono senza quistione i principii di Pope, e l’ottimismo è una mera presupposizione. Ma non però che quell’Opera non sia delle più magnifiche nell’inglese idioma, perciocchè filosofia vi usa la lingua della più bella poesia. Pope vi ha singolarmente impresso il conio del suo stile, il quale consiste in un rapido andar di pensieri, gli uni incalzati sugli altri, senza confondersi insieme, e in una avventurosa gagliardia di locuzioni, le quali mai non cascano nella soverchia ornatura e nelle forme gonfiate.

[364] Alla morale poesia aggiunse maggiore e più solenne maestà Young, le cui prime tre Notti sono più allettatrici e più pietose che le altre, perciocchè piangono i perduti oggetti della sua tenerezza, e sì più dolci ne sono i sentimenti e più naturali. Ma nelle altre Notti con più pompa e con più magnificenza apre l’ingegno suo. Sicchè la sesta e la settima, nelle quali dimostra l’immortalità dell’anima, hanno una virtù di ragionamento e di locuzione qual si conviene al più alto argomento che l’umano intelletto possa trattare. Citazione/Motto► “Il pregio delle Notti di Young, disse Johnson, non è l’ordine, ma la dovizia; le immagini sono nuove, alte le considerazioni, vivissime le allusioni. Ma non commette ognor bene le cose, ed egli presto trasvola e quasi sempre ha un suono. Ardito è lo stile e pittorico, ma spesso ruvido, oscuro, e talora men che dilettevole.” ◀Citazione/Motto

Tra gl’Inglesi, pochi poemi son tanto letti, quanto la Scelta, ovvero i Voti di Pomfret, che per aver gran fama non ebbe mestier di altro. Come dolce vi è la morale, così piani sono i versi. Due poeti, Shenstone e Lowth, lodevolmente trattarono la Scelta di Ercole, cioè l’Alcide al Bivio, dei quali l’uno ha più dolcezza e leggiadria, l’altro più fuoco e più vigore: e l’uno dipinge meglio i vezzi e l’esca del piacere; l’altro il reame della virtù. Savage, nominato il poeta della sventura, dipinse se stesso, e n’ebbe spirazione dai propri casi, ne’suoi due poemi del Vagabondo e del Bastardo, i quali sono mirabili per la viva e forte dipintura della natura, e per una manifesta [365] sospinta verso la virtù, e per un cupo sentimento della religione. Tra le più perfette poesie si contano il Viandante e il Villagio deserto di Goldsmith, il primo de’quali, se fede è da prestare a Johnson, è il più buon poema che dietro a Pope sia venuto in luce; e forse che il Villaggio deserto vale ancor più, perciocchè vi soggiorna quella soave morale e quel pietoso interesse che fanno risplendere l’autore del Curato di Wakefield. Thompson, il pittore della natura, diffuse per entro le sue Stagioni alcuni tratti di morale che aiutarono la riuscita dell’Opera, siccome sono le Lodi del Maritaggio, la Dipintura delle umane Miserie, ec. Il suo poema allegorico, chiamato il Palagio della Indolenza, è un tema propriamente morale. A questa più che all’altre Opere sue pose cura e fatica, e la condusse secondo la maniera di Spencer; ma soverchiò l’esemplare. Sotto il titolo di Visioni il dottor Cotton scrisse in versi più discorsi sovra i soggetti più importanti in morale, ed ordinolli al diletto ed all’ammaestramento della giovinezza; nè altro ne fece che sollazzevoli ed artificiose allegorie. Ancora Gilberto West si argomentò di fare alla giovinezza utilità con due poemi sulla Educazione e sull’Abuso dei Viaggi; i quali se non fosse ch’egli li scrisse nello stil disusato di Spencer, porgerebbero assai più diletto. Il poema di Pratt sulla Simpatia è dei migliori che l’ultimo secolo vedesse, perchè ivi alla immaginazione è giunto il sentimento; e pochi altri con tanta brama sono letti, e meno ancora ad istillare in altrui l’amor della umanità sono acconci.

[366] Akenside nel suo poema dei Piaceri della Immaginazione trattò bellissima materia, la quale in se stessa raccoglie ciò che può esser piacevole e maraviglioso; se non che l’autore non la seppe in un determinato ordine circonscrivere. Nondimeno, quantunque i suoi versi non siano così precisi, ne forti, hanno il pregio della poesia dello stile. Cantarono poi Rogers i Piaceri della Memoria, e Merry le Pene di quella; l’uno mostrando le più gradite scene degli avventurosi punti della vita, la cui ricordazione produce dilettevoli affetti; l’altro fermando lo sguardo sovra quelle aspre e dolorose avventure che lasciano una amara e noiosa rimembranza. Ambidue ebbero poetico ingegno, che fra i poeti dell’ultimo secolo loro assicura uno splendido luogo. Piaceri assai più grandi, che della memoria, e sono quei della Speranza, furono cantati da Tommaso Cambell, il cui poema non ha ordine, ma pitture molto immaginative, sempre spirando l’ardore dei più generosi sentimenti.

L’Inghilterra nella schiera dei migliori poeti ripone William Cowper, di cui non ha guari pianse la morte. Questi non ebbe quel genio che inventa, nè quell’arte che dispone ed accorda con diritto giudizio fra loro le membra di un’Opera: ma non pertanto è copioso, variato, ed alletta. Imperciocchè nessun poeta, tranne Thompson, studiò con più sollecitudine la natura, nè con più fedeltà la ritrasse, di quel che abbia egli fatto. Quasi sempre tratta morali argomenti, e adornali dei fregi della immaginazione e del sentimento. I piccoli suoi poemi [367] intitolati, i Ragionamenti di Tavola, l’Avanzamento dell’Errore, la Verità, la Speranza, la Carità, la Conversazione, il Ritiro, ec., fanno vedere una varietà di stile assai grande. Avviene che talora vi si brama più leggiadria di locuzioni e più immagini; ma l’autore sa generalmente alla materia che tratta assettare il suo stile. Principalmente col poema intitolato, The Task Cowper, si fece sede fra i più gridati dei poeti inglesi, perciocchè trattò temi assai variati; e piace, ammaestra e si procaccia perdono de’suoi difetti d’ordine.

Dell’apologo ancora, che tanto è a dire quanto della poesia più dirittamente alla morale consegrata, si brigarono gl’Inglesi. Gay s’ebbe fra i loro favolatori il primo scanno, perocchè con un giulivo ingegno, con uno stil vivace, ed un verseggiare soave e dilettevole, scrisse un volume di favole le quali sono diventate classiche. Non pertanto esso con La Fontaine non sostiene paragone, perchè non seppe a quel modo servare la loro natura e i loro costumi agli animali; il perchè le colui favole sono tanti piccoli drammi. Vero è che il fine morale delle favole di Gay sempre è lodevole, ed ingegnosi sono generalmente i suoi suggetti.

Alcuni critici a Gay preposero Giovanni Moore, autore di molte favole accolte insieme ad uso delle donne; e nel vero egli è meno festevole del primo, men vivo ha lo stile e meno leggiero; ma reca in sè più piacevolezza e più soavità, e oltre a questo i suoi temi sono con più accorgimento scelti, più ingegnosi ancora e più pungenti. Ma, siccome Gay, fallò egli pure per [368] non aver ben riguardati e dipinti i costumi degli animali. Dalla morale di Moore traspira decente galanteria e piacevoli insegnamenti Commenda le virtù delle donne, vituperandone i difetti; ammira i loro vezzi, condannandone i capricci; austero e non ruvido, amorosetto e non insulso, le loda e le sgrida; e contento pur di vederle belle ed amabili, le vuole ancora ragionevoli e virtuose.

Langhorne compose le Favole di Flora, colle quali diede atti e favella ai soli fiori, attribuendo loro ad un tempo la natura e i costumi che generalmente sono loro appropriati; ma comechè utile sia il moral fine, poco ingegnosi sono i suoi soggetti. In una raccolta sono state messe le favole di molti autori, ciascun de’quali da sè ne compose poche; ma ve ne sono molte di gran pregio e massimamente quelle di Wilkie, di Merrick e di Somerville.

Principe degli inglesi moralisti prosatori si dee riputare quell’illustre filosofo che primiero aperse la via di ricoverare le scienze e promuoverle; tutto che quella dei costumi non fu la scienza cui Bacone gran movimento giungesse. Perocchè intese egli principalmente alle facoltà dell’intelletto, e poco addentro ricercò l’ordine delle nostre passioni. I Saggi suoi di morale e di politica compongono una raccolta di considerazioni dislegate, quasi sempre giuste e profonde, generalmente dal cupo attinte del suo ingegno, ma talora carpite dal Machiavelli e da Montaigne, de’quali aveva egli lungo tempo studiati i libri. Tra gl’investigatori sottili ed avveduti dei nostri difetti e delle nostre follie, [369] molto più che fra i maestri severi del senno e della virtù merita luogo. E però riguardando i Saggi suoi quali sono stati per noi diffiniti, ebbero a ragione l’incontro che si procacciarono, ed al quale Bacone stesso era stato intento, siccome egli ne fa motto nella sua dedicazione al duca di Bukingam. Citazione/Motto► “Pubblico intanto, dice egli, i miei Saggi che più delle altre mie Opere si sono diffusi, per questo che vanno fin entro al cuore dell’uomo, e de’suoi propri affari gli favellano.” ◀Citazione/Motto

Grande ingegno e sottilità discorre nei pensieri di Bacone, i quali si ergono per una forma acuta e concisa; se non che hanno per ventura quella gravità e quell’altezza che autorevole fanno e imperiosa la morale, e manifestano il magnanimo intento dell’autore di rendere agli uomini utilità. Egli generalmente discuopre loro i difetti di lor natura; nè però si fatica di deprimerli, come fece La Rochefoucault, ma non gli innalza gran fatto, perchè non va troppo alto egli stesso. La qual cosa è provata così bene per la vita di Bacone, come dimostrata per li suoi scritti: perocchè la parte del cortigiano oscurò la grandezza del filosofo; ed allegasi qui la sentenza che ei diede sull’amicizia: Citazione/Motto► “La verace amicizia è carissima, e più fra due pari, tuttochè di questa sommamente ragionassero gli antichi. E se pur v’è, trovasi fra i grandi e i minori, perchè la sorte dell’uno pende da quella dell’altro.” ◀Citazione/Motto A chi legge questo giudizio, non fia meraviglia che Bacone, il quale era stato famigliarissimo del conte di Essex, lo [370] abbandonasse nell’infortunio, e che a compiacere Elisabetta scrivesse un’apologia sulla colui morte.

Hobbes, fornito, come Bacone, d’ingegno investigativo, nella sua giovinezza si meravigliò che la filosofia insegnata per le scuole così poco si confacesse alla general natura ed alle condizioni degli uomini. Il perchè si assottigliò di trovare il vero, ma troppe fiate incappò negli errori. Imperciocchè egli pose che gli uomini non sono da natura disposti alla società, ma alla discordia ed alla guerra; e negando per tal modo il diritto di natura, afferma che la sola forza dà dritto; e così egli reca un’autorità senza confini ai re, presumendo che il voler loro deggia costituire la religione, il giusto e l’ingiusto, ec. Fu chi si provò di scolpare Hobbes col notare ch’egli scrisse di morale e di politica nei tempi di turbolenza e di scelleratezza, da cui dopo la morte dello sventurato Carlo I fu tribolata l’Inghilterra.

Pare che Cudworth volesse confutare i principii di Hobbes, quando edificò la morale sopra regole di eterne ed immutabili convenienze, le quali egli presuppone essere anteriori all’uomo, nè punto nè poco da lui dipendere. Meglio ancora Cumberland riprovò la errata e pericolosa dottrina di Hobbes col suo Trattato filosofico di Legge naturale, il quale ai moralisti, per più precisamente determinare i principii di moralità, porse molta aita.

Locke fece veder il primo la morale capire dimostrazione, non altrimenti che la geometria e la scienza de’numeri. Egli, come Montaigne, [371] meditò l’uomo in se stesso; se non che quegli non guardò più in là delle passioni, ed ei cercò le vie per le quali i pensieri si derivano e la ragione. Laonde ritrovò le fonti dei nostri errori, che forse egli non richiamò, quanto si conveniva, dalle nostre passioni; ed insegnò la strada a chi volesse conoscere le giunture che sono fra le nostre idee morali, e che ne guidano a nuovi, sicuri e chiarissimi discoprimenti. Nei due trattati della Educazione e del Governo Civile, Locke mise in pratica con infinita utilità i principii del suo libro sull’Umano Intelletto; che tanto è a dire, quanto che diede perfezione a quelle scienze le quali più che le altre intendono a dilatar la ragione e a crescere la felicità degli uomini.

Ebbe poi Locke un discepolo che non fu suo seguace, il celebre Shaftesbury, il quale sulla morale seminò qualche nuova verità; ma più da poeta dipinse l’uomo, che non lo esaminò da filosofo, e quasi lo considerò sempre nel suo stato più bello. Ma come Platone, avendo di sua natura molta immaginazione e molto ingegno, pompeggiò con queste due doti soverchiamente nella sua filosofia, sicchè non è possibile che altri lo seguiti perchè egli sia da lui persuaso e convinto, ma solo perchè si lascia a lui strascinare per forza d’illusione. Non è questo il filosofo delle persone di maturo e composto spirito, ma della giovinezza avida di apprezzare ed amare altrui. Coloro che furono per lui sedotti, hanno eziandio, dopo essere disingannati, verso lui quel rispetto che egli merita per lo suo schietto amore della virtù e [372] per la sua facondia. S’egli ne dipinse vie migliori che non siamo, porge nuove idee a coloro che sono ancora in sul proponimento di rendersi più buoni. Il sistema di un senso morale, al cui lume noi discerniamo tutti i nostri doveri, quello dell’ottimismo, il quale sforzasi di provare che nell’ordine dell’universo non avvi mal fisico, nè mal morale, trovò sostenitori in tutta l’Europa, e molti ancora ne sono in Inghilterra.

Scrittor di paradossi Mandeville, fu primo a dar battaglia a Shaftesbury, incolpandolo di fondar sua dottrina sovra principii fantastici. Ma non si avvide che egli stesso travalicava in un eccesso contrario, perciocchè non volle riconoscere gli elementi della ragione, nè quei del sentimento; e disdisse che fra il bene e il male surge una differenza immutabile. Così fatta è la dottrina del suo famoso libro la Favola delle Api, nel quale si travaglia di provare che si convertono in bene della società i vizi particolari. S’argomentarono alcuni critici di scusar Mandeville, affermando che questo ingegnoso scrittore aveva proposto di mostrare la impossibilità di accordare le virtù sociali con la strabocchevole passione verso le ricchezze e il lusso, che sono nati per distruggerle.

Hutchinson volle schermire i principii di Shaftesbury nelle sue Ricerche sul fondamento delle idee che noi abbiamo della bellezza e della virtù, con le quali egli spiegò questi principii con maggior ordine e chiarezza, e senza modificarli li confermò. Indi il famoso Pope adornò di tutte le dovizie poetiche alcune idee di Shaftesbury, [373] ed operò molto a diffonderle. Ancora Hume nelle sue Ricerche su i principii della Morale, fondò questa sul sentimento, senza disgiungerla dai lumi di ragione. Venne poi Ferguson con gli Elementi di Morale, e il famoso Smith con la Teoria dei Sentimenti morali; ed ambedue, modificando i pensieri di Shaftesbury, gli abbracciarono; ed è consolante il pensare con quelli che la giustizia e la bontà non solo non siano puri esseri morali, figli dell’intelletto, ma vere affezioni dell’anima rischiarata dalla ragione.

Mentre che molti inglesi moralisti si brigano di rivocare a sistema i principii morali, altri raccolgono insieme le verità minute e particolari che debbono a quella scienza dar corpo e fortuna. E fra questi ultimi siede più alto lo Spettatore, che più volte è stato comparato a La Bruyere: e comechè sia meno di questo abbondevole di sottili considerazioni e di belle pitture, pur se ne va più diritto agli elementi della morale filosofia. Perchè non altro egli è se non se un libro di educazione, ordinato al fine di spargere e fare amare alla sua nazione quelle verità che al suo bisogno più si confanno. Chè se lo Spettatore ci mostra un poco meno di La Bruyere ciò che noi siamo, senza dubbio ci addita meglio di quello ciò che noi dobbiamo essere. È il vero che generalmente lo Spettatore dipinge inglesi costumi, e spesso perseguita quelle follie e quei ridicoli che più non ci si vedono: il perchè molti suoi capitoli hanno perduto, eziandio per gli stessi Inglesi, il lor sale e l’allettamento. Anzi quantunque [374] tratti argomenti di morale, di critica e di filosofia per un modo generale, pure applicandole sempre ai costumi ed alle opinioni degl’Inglesi, incontra che non si può tenere, quanto si converrebbe, per un’Opera di morale universale.

Ben si conosce avere lo Spettatore il suo grande effetto principalmente dal celebrato Addisson, i cui Saggi sono notabilmente più degli altri commendevoli. Perciocchè non solo fra i moralisti, ma fra gli scrittori ancora è sua la prima sede; chè come la sua morale sempre è rivestita di sapienza e di utilità, così lo stil suo continuamente discorre ornato, semplice, lucido e chiaro. E se per avventura negli altri suoi scritti non si sente quella forza, nè si vede quella brevità che in ciò lo possano rendere un esemplare ad altrui, senza dubbio ne’suoi Saggi non si bramano gran fatto queste doti, ed agli argomenti per lui trattati non si richiedeano. Poco alta e poco profonda è la sua filosofia; ma sempre i suoi pensieri si accostano verso la pratica. Solo discernesi nelle sue Opere essere posposta la sensibilità ad ogni magnanimo movimento, non ostante l’amore della religione e della virtù ch’egli ne istilla. Per le quali cose il pregio onde sopra gli altri è chiaro Addisson, si riduce ad una leggiera piacevolezza, ad una dilicata ironia, ed all’ingegno di dipingere i caratteri e i costumi con vivi e naturali colori. E forse che la cosa che più faccia onore all’ingegno di Addisson, è il carattere di sir Roger di Coverly, che spesso egli pone in azione, come se lo avesse pensato per dare ai [375] suoi Saggi una forma drammatica, e diffondervi più varietà, e sicuramente ancora per cessar l’egoismo d’autore, cioè il parlar sempre in suo nome. Nè si sfuggì dall’altrui sguardo che la tela e la forma dello Spettatore avrebbero potuto più variarsi, e che due terzi dell’Opera hanno la forma epistolare. Si partorì lo Spettatore molte imitazioni, alcune delle quali vanno a paro a paro con l’originale. Il Mondo (The World), di cui principale autore fu John Moore, rinserra moltissimi articoli di questa gioconda morale che il mondo pulito ancor tollera ed alcune fiate esso usa. Le cose più pungenti e state più giovevoli al buon effetto dell’Opera uscirono di penna al famoso Chesterfield, il quale ad una ingegnosa e gentil piacevolezza giugne uno stil facile ed elegante, siccome ad un alto conoscimento degli uomini accoppia l’ingegno di ben dipingere i costumi e i caratteri. Nè fra i moralisti gli saria tolto un bel luogo, se non fosse che nei consigli e negli ammaestramenti da sè dati al suo figlio s’avvisa di formar l’uomo anzi amabile che virtuoso, e troppe volte pone questa amabilità nel seguitar le stranezze e i vizi che vanno attorno. Nondimeno per entro la copiosa raccolta delle Lettere a suo Figlio scelte furono le più conformate alla sana morale; nè senza diletto e utilità è siffatta scelta.

Il Conoscitore, pubblicato per Colman e Johnson, mostra una fedel dipintura della società e una censura dei costumi pungente, ma non velenosa. Nei Saggi di Colman si ravvisa quella drammatica forma e quell’ingegno di [376] recare ad atto la morale, di che egli fu tanto commendato nelle sue commedie. Nè meno dilettevoli sono i Saggi di Johnson. E l’uno e l’altro si studiarono di dipingere i costumi del lor tempo, il perchè l’Opera loro meno alletta. Se non che per avervi parecchi articoli di morale universale, leggesi ancora con diletto, e spesse volte allegasi nelle raccolte che porgono esemplari di stile.

Non ebbe compagni il rinomato Johnson a scrivere il Rambler, ossia il Vagabondo, apprezzato per una delle migliori Opere dell’inglese idioma, la quale ancorchè non abbia quella semplice leggiadria, nè quella ironia dilicata, nè quella graziosa gaiezza di Addisson, ha pure una forza, una brevità ed una nobiltà, la qual forse sì altamente non toccò mai ad altro inglese scrittore. Oltre a ciò, la morale sua non è essa già volgare, ma levasi ai generali principii, i quali per avventura egli spiega talvolta in una forma troppo sottile e profonda. Nè scarso è il Rambler di allegorie, nè di finzioni, parto di una ardente e copiosa fantasia. Un altro giornale di morale reputato alcuna cosa minore del Rambler, pubblicò Johnson col titolo di Idler, cioè il Pigro, nel quale se meno acuta è la filosofia, e men sublime e meno eloquente lo stile, pure si veggono assai più dipinture e di caratteri e di costumi.

All’Avventuriere, che in parte lavorò Johnson, e principalmente scrisse Hawkesworth, gran lode provenne, quando uscì alla luce, e fu più generale del Rambler stesso. Meno seriosi sono i suoi morali articoli; ed i critici muovono da [377] buon gusto e da perfetta ragione: nondimeno esso alle finzioni orientali, tanto artificiose quanto piacevoli, che Hawkesworth vi sparse, è debitore del suo buon effetto.

Ancora del vantato Goldsmith venner fuori più Saggi, prima in varie raccolte periodiche, e dopo in quella di tutte le Opere sue: e buon saria stato che più altri n’avesse scritti, i quali poteano la fama del medesimo Addisson per avventura eclissare. Perciocchè questi avanza lui di quella ingegnosa piacevolezza e gentile; ma Goldsmith non gli cede in fatto di stile e d’immaginazione, e lo soverchia d’interesse e di sensibilità.

Non parea, dopo queste avventurose imitazioni dello Spettatore, così leggier cosa aver grido in tal genere, quando si produssero in mezzo il Mirror e il Lounger, cioè lo Specchio e il Pigro, i quali ebbero gran plauso. L’autore principale ne fu Mackenzie, già di alta fama per lo suo romanzo dell’Uomo sensibile. Certo queste Opere tennero i loro lieti successi singolarmente da quegli articoli materiati di compassione e di sentimento, e da quelli altresì che di una delicata e gioconda piacevolezza sono rivestiti. Perciocchè il racconto della Morte di La Roche, il quale intende a convertire con la sola forza del sentimento un uomo che nega Dio, è uno de’più commoventi che legger si possano; e le Lettere poste a nome di Homespun pareggiano le più belle cose che Addisson e Chesterfield abbiano scritto in fatto di scherzo. Cotali Saggi di un genere tanto diverso sono del signor Mackenzie.

[378] Più altre Opere, comechè non pubblicate in tempo periodico, uscirono pure in forma di giornale; e noi qui ricorderemo le più reputate. Sono le più antiche delle migliori alcune lettere sopra varii soggetti di morale e di letteratura, composte da William Melmoth, che sotto il nome di Tommaso Fitzosborne le pubblicò. In tutte le raccolte di classiche Opere sono esse citate, come quelle che in purezza e leggiadria di stile, non che in dirittura e gentilezza di pensieri sono esemplari. I Saggi morali e letterarii di Vicesimo Knox, e similmente le sue Sere d’Inverno, ovvero le Vigilie sopra i Costumi e la Letteratura, sono fra le eccellenti Opere di questa specie; perocchè quanto dilettano altrui, tanto ammaestrano; e contengono di molti ingegnosi concetti e considerazioni di sottil giudizio e di savia critica. Schietto e ornato è il suo stile, se non che talora disuguale per voler imitare quello di Johnson. Fece Cumberland sotto il nome dell’Osservatore una Raccolta di Saggi morali e critici, la quale tra le migliori Opere delle così fatte potrebbe annoverarsi, se non l’avesse egli impregnata di cose storiche e di altri articoli di piccolo affare. Il dottor Aikin di certe sue Lettere d’un Padre a suo Figlio fece come un supplimento alle lezioni che si convengono ad una educazione veramente liberale, e per tal guisa pose in gran luce quelle verità che più dispongono l’uomo ad esser utile e felice: il perchè Aikin fra i viventi scrittori ha molto grido. Scrisse Godwin sotto il titolo dell’Investigatore considerazioni sopra i costumi, sforzandosi di mostrare la falsità di alcuni [379] principii, sui quali gli ordini sociali sono edificati: di certo conosce questo scrittore molte bene il cuore umano, e sottilmente giudica e sillogizza con forza, e porta lo stil chiaro, nerboruto e splendido: ma non è lodato, e giustamente, di pendere, come fa, verso i paradossi, e d’aggrandir troppo le conseguenze de’suoi principii. Il Looker-on, ossia il Riguardante di William Roberts è l’ultima Opera che prodotta in forma di giornale acquistasse gran voce. E veramente dopo Addisson le stravaganze e gli errori del secolo non furono mai coll’armi dell’ingegno e della ragione più felicemente assaliti. Roberts non combatte con minor vantaggio il mal gusto che il mal costume; e le sue censure urbane e gentili richiamano i principii dei grandi maestri: ma nondimeno è stato biasimato di amplificar troppo i soggetti suoi, e di esser alcuna volta nel suo stile un poco ricercato.

Ma noi passeremmo i termini che questo Saggio debbono circonscrivere, se con una disamina eziandio breve volessimo toccare tutte le Opere morali che fama si procacciarono; per conseguente qui non faremo che accennar le principali. Il dottor Collier, che con tanto frutto scrisse contro la licenza teatrale, compilò molti Saggi di morale, i quali furono più volte stampati: conciossiachè nè sodezza e copia di pensieri, nè brevità e chiarezza di stile vi manchi. I Consigli di un Padre alla sua Figlia del marchese d’Hallifax, quantunque riputati, sono da meno che l’Opera sul medesimo tema composta dalla marchesa di Lambert. Giusti sono i concetti, ma comunali: egli [380] dipinge quello che ha veduto sul teatro del mondo, ma non ha guardati gli attori se non abbagliati e negli incontri ordinarii. Con tutto ciò quest’Opera essendo di buono stile, fu recata in molte lingue forestiere. Dodsley sotto il titolo di Economia della Vita umana, cavata da un manoscritto indiano, ec., porse un piccolo estratto di morale, e seguì lo stile orientale per vestire di nuove e vivaci immagini i suoi precetti: nè per essere animose ed ardite le sue figure, sono turgide o false. Molti imitatori ebbe Dodsley, come tutti coloro che recaron fuori qualche sembianza di novità; ma non però che alcun di questi l’abbia adeguato. Hume alle sue Ricerche sui principii della Morale volle accoppiare alcuni Saggi morali, in cui non che l’ingegno e la profondità, ma spesse volte i concetti singolari di sì celebrato scrittore si riconoscono. Nondimeno lo scetticismo di che generalmente è pregno qualunque suo scritto, non è così visibile ne’suoi Saggi morali.

Sono con lode ricordati fra gl’inglesi moralisti molti maestri delle Università, le quali si possono assai di ciò gloriare. Quella di Edimburgo commenda fra’suoi lettori John Bruce, Adam Ferguson e Dugald Stewart, i quali apprezzate Opere di morale scrissero. A Ferguson non fuggì mai dallo sguardo nelle sue teorie qual è l’uomo mostrato nella storia, e Stewart esamina i principii della morale con quel profondo giudizio e con quella chiarezza che all’autore della Filosofia dello spirito umano acconciamente rispondono. L’Università di Aberdeen in Iscozia può contrapporre a quella di [381] Edimburgo James Dumbar, autore di un’Opera morale ingegnosissima, che intitolò Saggio sull’Istoria del Genere Umano; ed ancora James Beattie che scrisse Elementi della scienza morale, ove il valor dello stile non si disgiunge da quello dei concetti. Similmente Beattie per lo suo poema del Menestrel gran fama acquistò fra i poeti. All’Università di Cambridge piacque di abbracciar l’Opera di uno de’suoi maestri, William Paley, come un libro di esame; e i suoi principii della morale e politica filosofia godono di quest’onore non altrimenti che le Opere di Newton e di Locke. Questi principii della morale sono per lui tratti dalla religione e dalla ragione, e con molta chiarezza e brevità al presente stato sociale assettati. Qual che sia il merito del trattato di Paley, sicuramente poche cose nuove in sè chiude. In questa parte si potrebbe forse a questo porre innanzi il Trattato filosofico delle Passioni scritto per Tommaso Cogan, e le Ricerche sui principii della Filosofia morale scritte da Tommaso Gisborne; il quale dopo esser penetrato al midollo della teoria di tale scienza, ne additò la pratica in due opere molto apprezzate, l’una intitolata Investigazione sui doveri dell’Uomo nell’alta e mezzana condizione della società, e l’altra nominata Investigazione sui doveri delle Donne.

Vestir di bellezza la morale per via di finzioni fu fatica di molti scrittori inglesi, fra’quali primo è Filippo Sidney, uno di quegl’illustri onde sfolgorò il regno di Elisabetta, il quale non pur dall’ingegno, ma dalla virtù trasse la [382] sua chiara fama, tutto che nel fior degli anni suoi morisse. Egli è nominato nella schiera degli scrittori che a dar ricchezza e perfezione all’idioma inglese posero studio. L’Opera sua principale è l’Arcadia, romanzo che fu traslatato in tutte le lingue, e che i precetti di politica e di morale vuole per via di esempi rendere sensibili. I dettati e le sentenze di che seminata è quest’Opera, sono raccolte insieme sotto il titolo di Aforismi di sir Filippo Sidney.

Meno gravi finzioni che quelle di Sidney, ma non meno savie e più ingegnose, mise fuori il famoso Swift che scrisse i Viaggi di Gulliver, maravigliosi e dilettevoli. Vi muove egli un’acuta e gentil satira sopra i costumi, le usanze e gli statuti del suo paese. Dote propria di Swift, tanto in prosa quanto in versi, è lo scherzare con molto ingegno e naturalezza. Più volte è stato messo a paro col famoso Rabelais; ma se non ha la gaiezza di quello, egli ne ha buon cambio di sottigliezza, di ragione, di scelta e di buon gusto, di che il Curato di Meudon abbisogna.

Fu composto altro Viaggio immaginario, con merito di essere originale niente meno che quello di Gulliver, ma fornito di maggiore allettamento; e questo è il Robinson Crusoè di Foè, la cui lettura fu per primiera dal famoso Rousseau al suo alunno ingiunta. Robinson, rimaso solo soletto nella sua isola, dove non capitava persona che di alcuna cosa lo sovvenisse, nè avendo strumento di verun’arte, è pur costretto a dover campar sua vita e trovar ciò che gli è di necessità nel deserto: [383] questo è l’intento che non solamente la fanciullezza, ma deve ancora interessare qualunque età. Mostra Robinson tutto ciò che di aiuto e di profitto può l’uomo derelitto a se stesso attingere dalla industria sua, dal suo coraggio e dal sentimento che i suoi bisogni gli muovono. Vero è che tutti i critici notarono dover la storia di Robinson aver fine quando egli esce dall’isola; perocchè sono troppo comunali i suoi casi, dopo che egli per divenire uomo civile si rimane dall’esser uomo naturale.

Il celebrato Pope, insieme co’suoi amici Swift e Arbuthnot, divisò un critico e moral romanzo per far censura dei costumi e delle false opinioni: e questo era la Vita di Martino Scriblero, della quale si legge solamente la prima parte che scrisse Pope, e che fa desiderare il compimento di un’Opera dove il sale e lo spirito dei romanzi filosofici di Voltaire, quantunque men naturale e men giocondo, si assapora molto.

Senza quistione può uno scrittore valer molto e distar molto dai grandi ingegni che il proprio secolo illustrarono; e di questi fu Littleton a rispetto di Montesquieu. Compilò le Nuove Lettere Persiane, non altrimenti che come un continuamento di quelle che scrisse quel chiaro Francese, e le formò di una illuminata censura artificiosa e pungente sopra i costumi, le leggi e gli statuti de’suoi paesi; nè lasciò di versarvi i principii di una giusta morale e di una savia politica. Con miglior successo ebbe gara Littleton ne’suoi Dialoghi de’Morti con Fontenelle, non dico per lo ingegno, ma pel [384] fine morale, per la fedeltà dei caratteri e per la naturalezza dello stile. Conciofossechè quell’illustre Francese, il quale, come a ciascuno è noto, di poi meritò il nome di sapiente, proponesse nei Dialoghi, Opera sua giovanile, di singolarmente colpire il leggitore con la scelta di personaggi fra sè dispari, e con la conclusione non antiveduta dei loro colloquii; il che non traendo se non se più a far altrui meravigliare che ad ammaestrare, non è per gusto nè per morale degno di lode.

Tutto ciò che i moralisti più reputati ridussero a principii nei loro trattati, Richardson li mise in azione ne’suoi romanzi: il perchè mentre è de’maggiori dipintori del cuore umano, è pure de’migliori maestri di morale. E nel vero, la sua Pamela, la cui sostanza è semplicissima, è un romanzo pieno di allettamento e d’interesse: salvo che a passo troppo lento giungesi ad uno scioglimento che, essendo antiveduto, scema l’interesse della favola. Più ravviluppato è il Grandisson, dove gli episodi trapassano la sostanza. Quello di Clementina commuove e piace più di qualunque altro. Clarissa è di maggior valore del Grandisson e di maggior effetto. Ma le ultime parti avanzano di pregio oltremisura le prime; chè la virtù non ebbe mai carattere più bello di Clarissa, ne mai più dignitosa fu l’innocenza nè più pietosa l’avversità. E se infinito bene agli uomini è l’esser certi e sicuri che a dover esser felici niente è più buono, quanto il servire l’umana generazione; egli non ha pur dimostrata, ma posta sotto i sensi questa verità; e [385] ad ogni tratto invoglia la gente a posporre il vizio fortunato alla infelice virtù.

Meraviglia pare a molti la copia di Richardson, e la varietà de’personaggi e dei caratteri, ciascun de’quali concepisce i suoi pensieri, e parla il proprio linguaggio, secondo le sue circostanze, l’utilità sua e le, sue passioni; ed è bella cosa a vedere una moltitudine di particolarità e di minuti oggetti, i quali quanto sono a immaginar malagevoli, tanto sono a descriver faticosi, ma molto aiutano l’illusione, ed a certi colpi dei grandi avvenimenti apparecchiano l’anima. È il vero che un’arte necessaria ad uno scrittore o non fu conosciuta, o fu da Richardson disdegnata, cioè di sapere interrompere e misuratamente adoperare la descrizione delle minute cose. E come si dee poter commendare una quantità di personaggi i quali o son del tutto inutili, o non porgono piacere? Che vale che siano dipinti con variati e naturali colori, se lo introdurli scema lo allettamento dei personaggi principali? Nè si vuol negare che ad un romanzo molto aggirato e molto disteso è mestieri gran tempo per preparare e disviluppare l’azione; ma non che sia di necessità spendere la metà dell’Opera in tal fatto. Qualunque parte del primo volume apra il lettore di Clarissa, sempre trovasi nel punto di prima, rivedendo la stessa gente che opera e parla le medesime cose; il perchè molti l’accorciano col non leggerla. Ed ebber torto coloro che ripresero il famoso critico La Harpe di aver troppa rigidezza usata con Richardson, perocchè gli stessi Inglesi hanno confessati i [386] costui difetti: si può ben vedere quello che Blair nel suo Corso di Belle Lettere ne giudica, e massimamente Cumberland nel suo Osservatore, che dà la ragione alle critiche di La Harpe. Sono tali i difetti di questo grande scrittore, che al presente è più apprezzato che letto, eziandio nell’Inghilterra.

A maggior dritto si può rimproverare la Harpe di avere lodato stemperatamente il merito di Fielding. Ma non perchè Tom-Jones non è, come vuol questo critico, il primo romanzo del mondo, perde luogo nella prima schiera. Tutto l’ordigno dell’Opera è fabbricato sopra un concetto che più grande e più bello esser non potrebbe; ed una altissima lezione di morale contiene. I due maggiori personaggi dimoranti in sulla scena fan sempre vista di aver l’uno il torto e l’altro la ragione, e poi si conducono a tale, che il primo è dabbene, l’altro è un malvagio uomo. Di così fatta contesa è conserta la storia della società. Veri ed attrattivi sono i caratteri; nè già per dovizia di parole, ma per varietà di azione sono dipinti. Oltre a questi, vi s’incontrano assai pitture comiche che, senza intiepidire l’interesse, sollazzano il lettore. Ancora è ben ordita la principal tela, come quella che traversando i casi delle digressioni, mai non si asconde all’altrui sguardo: lo scioglimento è pure molto ben sospeso e terminato. Per la qual cosa il Tom-Jones è uno de’libri meglio composti della lingua inglese, e tanto più da pregiare, quanto, come ognun sa, non sempre hanno gl’Inglesi l’arte pari all’ingegno.

[387] Fra gli altri romanzi di Fielding il migliore è Amelia, pieno, come Tom-Jones, di vere e allettatrici pitture dei caratteri. Ma Giuseppe Andrews, perchè troppo si avvolge fra gl’inglesi costumi, non può molto piacere agli stranieri: ed a questo romanzo più che ad altro pose mente Blair, quando disse che a Fielding procaccia splendore il suo Humour; ma questo, come che originale, non è sempre dilicato e perfetto quanto si richiede. Poi l’istoria di Jonatam Wid il Grande par men che degna di Fielding; perocchè altro non porge che la vita di un famoso ladrone, scritta con uno stil ricco e splendido; ed assomiglia continuo ad Alessandro e Cesare il suo grande eroe che nel capestro chiude la gloriosa sua vita.

L’autore del Tristam Shandy e del Viaggio sentimentale, tuttochè non aggiunga al pregio dei due scrittori sopra toccati, pure non è meno originale di loro. Dachè nessun moralista con più calda affezione di Sterne raccomanda ad altrui la benevola dottrina d’una universale filantropia: nè fu mai scrittore che con più forza risvegliasse lo spirito di compassione negli animi. Ma singolarmente lo fa risplendere quell’artificio di dare sostanza e interesse ai fatti più semplici, e di produrre per questo mirabili effetti, come pure di far vedere dentro al cuore umano moltissimi movimenti così fugaci che talora non si possono apprendere, e s’involano alla vista dei comuni investigatori. Tutto questo è il merito che tanto nome a Sterne acquistò. Chi in fatto di stile scherzevole lui comparasse a Cervantes, a Le [388] Sage, a Fielding, troverebbe il suo Humour essere una buffoneria verso la natural gaiezza e pungente di quegli scrittori. Caricati e ridicoli quasi sempre sono i caratteri del suo Shandy, e stravaganti i suoi ragionamenti senza essere comici. A tali difetti uno studiato disordine s’aggiunge, il quale si forza di rompere tutte le regole che il buon giudicio impone; un’impenetrabile oscurità, certe disoneste allusioni, e sotto un trasparente velo molte figure licenziose. Nè è da negare che si vilifica la religione e la virtù per colui che a laidezze e buffonerie le accompagna; ed a Sterne va questo rimprovero meritamente alcuna volta. Nondimeno alcuni rigidi critici, i quali pongono che le sue Opere fecero malvagio effetto sopra i costumi, non si recano alla memoria che gli fu conceduta una gloria superiore all’ingegno, quella di accender nei petti l’amor dell’umanità.

Sterne ebbe innumerabili imitatori: or come si potè pensare ad imitare uno scrittore il quale alla più parte dei lettori non per altro piace, che perchè sempre par che sogni e mai non pensi? Come non si sono essi accorti che imitar le cose di capriccio non è minor fatica che le sublimi? Perocchè quelle e queste hanno natura di libertà e di franchezza, che tutti gli sforzi vince della imitazione, la quale da se stessa è serva, nè può mai ricoprir questo vizio che per tutto la segue.

Quelli che maggior grido levarono fra i tanti scrittori di cose di sentimento, furono Mackenzie, Pratt e Keate. Il primo è noto singolarmente pel suo romanzo intitolato l’Uomo [389] sensibile, che in fatto di sentimento è stimato uno degli esemplari. Vi effigiò un personaggio che ubbidisce costantemente ad ogni tocco del suo senso morale, e che da quello tutti i piaceri e tutte le pene di sua vita conosce. Poscia scrisse l’Uomo di mondo, dipingendovi uno che ad ogni vizio si lascia trascorrere, e sparge la disavventura dattorno, e cercando sempre la felicità, senza mai voler seguire il suo senso morale, fa sventurato se stesso. Per siffatto modo Mackenzie ridusse a pratica il divisamento di Shafstesbury, e de’suoi seguaci Utcheson e Smith. Ancora in un terzo romanzo egli compilò Giulia di Roubigné che molto alletta, quantunque gran fatto non tengono del verisimile le sue incidenze.

A Pratt cadde nell’animo di dover tenere appresso a Sterne, pigliandone non che la confusione e la bizzarria, ma pur l’oscurità, quando compose la sua prima Opera intitolata Viaggi pel Cuore. Quindi sentendo le forze proprie del suo ingegno, si diede a scriver molte Opere, nelle quali dispiegò fertile immaginazione, gran commozione di sentimento, e l’acume e l’arte di vedere e ritrarre costumi e caratteri. Le Opinioni liberali e la Vita di Benigno sono più che il Tristam Shandy rigogliosi di concetti, di variate dipinture e di filosofia. Nell’Alunno del Piacere Pratt diede atto e vita ai principii di che Chesterfield ammaestrava il suo figlio, per più farne sentire e vedere alla gente i pericoli; il che gli saria venuto fatto, se non avesse troppo moltiplicato le dipinture seduttrici del vizio, le quali a contrario [390] effetto riuscirono. Di che volendosi Pratt scagionare, compose l’Alunno della Verità. L’Emma Corbelt, che è dei romanzi più compassionevoli nell’idioma inglese, fa vedere gli orrori della guerra civile. Il Villaggio di Shenstone intende a dimostrare la impossibilità di ordinare una società Utopiana, quale fu immaginata da Tommaso Moro, e poi dal poeta Shenstone. Di Pratt leggonsi altresì i Segreti di Famiglia e i suoi viaggi dinominati Glanures, cioè Spigolature in Olanda ed in Inghilterra. Per le quali Opere egli è diventato illustre fra gl’inglesi scrittori, e saria della prima schiera se più si fosse saputo temperare, e miglior gusto avesse seguíto.

Keate è men copioso di Pratt, ma meno ancora difettoso. Gli Abbozzi in sulla Natura furono per lui scritti con molte dipinture piene d’immaginazione, di verità e d’interesse. Egli dipinge le passioni, senza entrare in una fredda analisi; e il suo stile mentre è schietto e naturale, se ne va preciso ancora ed elegante; il perchè non altrimenti che Pratt egli merita luogo fra i dipintori della natura umana.

L’autore del Rambler, il celebre Johnson, fece altresì un romanzo sotto il titolo di Rasselas, principe di Abissinia; e quello empì di lezioni morali e sublimi, le quali si confanno tanto ai principi quanto ai privati, ed hanno belle, ingegnose ed allettatrici finzioni, tutte vestite d’uno stil sempre breve, nobile e vivo.

Quantunque volte Johnson s’abbatteva in Goldsmith, tante gli diceva: Compitemi il Vicario. Aveva per ventura questo chiaro critico udito lettura dei quattro primi capitoli del Vicario [391] di Wakefield, e però a fornir l’Opera il confortava. Un padre di famiglia leale e dabbene, semplice nel suo spirito, posto a tenzone con l’infortunio, non sotto altro schermo che della sua coscienza e della sua virtù; discorrente sopra i suoi falli e sopra il suo coraggio, sempre d’un modo schietto ed aperto; balestrato fino all’estremo abisso della sciagura; ferito in tutte le parti che più care gli sono, tornato poscia di subito ad esser felice, e ritrovando finalmente in tutte le cose che tribolato l’avevano, materia di consolazione: questa è la pittura che mostra Goldsmith nel suo Vicario. Laonde la sommessione e bonarietà dell’onesto prete, le sue semplici ed alte considerazioni, le sue note alcune volte epigrammatiche, ma non affettate mai, incantano e legano il lettore. Così fatta Opera giova all’animo, afforza il coraggio, riaccende la spenta speranza, e consola eziandio la disperazione. Boezio nella sua Consolazione della Filosofia favella allo spirito, ma il buon Vicario ragiona al cuore, e così diviene l’amico dei miseri, e il libro degli afflitti, non già come un romanzo, ma come il miglior trattato di morale.

In mezzo ai romanzieri che caratteri e costumi dipinsero, gl’Inglesi concedono scanno a Smolett, autore del Roderick Random, del Pellegrino Pickle e del Conte Fathom, nei quali assai pitture molto naturali si veggono; ma si vorria vedere più scelta e più modo nelle piccole descrizioni, ed anche un maggior interesse, non dico quello che non si trova eziandio nel Don Chisciotte, nè nel Gilblas, [392] ma ben quello che conduce i leggitori appresso ai personaggi nei loro casi, e recali a parte di quelli. Pare che Smolett volesse aver gara con Fielding. Similmente Cumberland sel tolse ad esemplare, e molto ben l’imitò nell’Arundel e meglio ancora nell’Enrico. Una imitazione del Gilblas, nè punto da dispregiare, sono le Avventure di Ugo Trevor scritte per Holcroft: Ma Godwin nelle Avventure di Caleb William e nel S. Leone ebbe sembiante di volersi un nuovo cammino dischiudere: perocchè aveva veduto la invidia, la curiosità, l’ambizione, la vendetta e la cupidigia delle ricchezze empiere la vita dell’uomo; e nel loro scioglimento ammaestrare molto più utilmente che non fanno le brighe e gli avvolgimenti di amore. Gli effetti di queste passioni egli dipinge, e il guasto della società disasconde.

I poemi del signor Walter Scott, i quali, a vero dire, sono romanzi poetici, avevano già indotto opinione che, quando egli si fosse posto a scriver romanzi in prosa, l’avria fatto con grandissimo incontro: la quale credenza s’è poi vista ben fondata, perciocchè oggidì egli è de’primi romanzieri come de’primi poeti inglesi viventi. Il genere di romanzo per lui agli altri preposto, cioè a dire l’isterico, è stato ognor dalla sana critica risguardato pel più difettoso, attesi i gravi inconvenienti, i quali dalla mescolanza delle finzioni colla storia rampollano. Ma questo scrittore ha saputo schifarli in parte; conciossiachè, ove nei romanzi introduce attori di cui la storia conserva la ricordanza, egli avvedutamente elegge coloro di [393] cui le circostanze della vita privata poco son note, e ne ritrae con fedeltà il conosciuto carattere. Quando poi rimembra fatti dalla istoria tramandati, non ne altera punto la verità. La immaginazion sua usa solamente il diritto di creare a sua posta i fatti secondarii che giovar possono alla favola, e gli inventa con non minore ingegno che profondità, e con artificiosa semplicità fra loro gli annoda. Nell’Ivanhoe il signor Scott ne fa vedere Riccardo cuor di Lione; ma senza pigliarsi briga del reame, è solo inteso ancora alla vita degli erranti cavalieri. La reina Elisabetta è uno de’personaggi del castello di Kenilworth, ma ella non n’è l’eroina. L’autore la pone non sulla pubblica scena, ma in mezzo a feste e nell’interno della sua Corte. In tutti i suoi romanzi il signor Scott si trasporta in qualche straordinaria epoca dell’istoria, ne studia il carattere dominante, s’investe delle passioni che travagliavano allora la società, e con ammiranda fedeltà ne ritragge i costumi. Tu non leggi il racconto di azioni, ma vedi nelle sue Opere un popolo al quale il suo pennello dà vita, e tra cui avvisi di dimorare; perciocchè egli te lo fa così bene conoscere, che meno conosci forse i tuoi contemporanei.

Natural cosa è che nei tanti romanzi dalle dame inglesi composti, amore sia sempre l’argomento principale. Non pertanto nelle Opere di tale specie abbonda una gran varietà, come si vedrebbe se i brevi confini di questo Saggio permettessero di recarne particolari e minute notizie. I tre romanzi della signora Burney [394] hanno questo pregio, che mostrano la dipintura della società. Con gagliardia disegna i caratteri, con accorgimento li fa tra loro contendere, e con molt’arte li disviluppa. E però sempre il linguaggio per lei prestato a’suoi personaggi si acconcia al loro carattere ed al loro stato. Oltre a ciò, sa bene fare che vivamente allettino altrui coloro da lei recati ad esemplare, e va continuamente l’amor della virtù suscitando. Se non che, per difetto di molti inglesi romanzieri, ella casca talora in dipingere caratteri fuor di natura, e si smarrisce entro particolarità troppo minute.

La Emmelina, ovvero l’Orfana del Castello, la Solitaria del Lago, la Celestina guardano un onorato luogo a madama Carlotta Smith fra le donne romanziere, e nella ornata semplicità dello stile, e nella viva e natural dipintura di costumi e di caratteri; ma non deve portare invidia ad alcuno. Madama Inchbald si procacciò fama coi romanzi intitolati, il primo Semplice Storia, e il secondo l’Arte e la Natura, nei quali le incidenze, quantunque siano semplicissime, producono di belli e nuovi incontri, e veri ed ingegnosi scioglimenti attinti dalla natura, penetrevoli senza essere sottili e dilicati senza essere preziosi. Ai movimenti più segreti del cuore umano che madama Smith sa scegliere e colorare, si vede che ella molto bene lo conosce.

I Figli della Badia, che scrisse madama Maria Roche, possono a lato dei romanzi della signora Burney dimorare, come quelli che porgendo dilettevoli pitture, scene allettatrici e [395] caratteri ben rilevati ancora, di una eccellente morale soprabbondano; salvo che fu la componitrice biasimata di aver troppo a Tom-Jones, ad Evelira, a Sterne e a madama Radclif tenuto dietro. Quest’ultima, come a tutti è noto, usò molto il meraviglioso ne’suoi romanzi, che sono i Misteri di Udolfo, la Foresta, l’Italiano, ovvero il Confessionale dei vari Penitenti, ec.; le quali Opere ebbero molto incontro: di che singolarmente debbono saper grado ad una fertile immaginazione, all’arte di attrarre la mente e il cuore, e all’ingegno di ornatamente scrivere. Questi pregi lor procurarono innumerabili imitatori; ma perciocchè non avevano tutte le doti del loro esemplare, produssero fastidio di un genere in cui si vuol sostenere l’interesse coi soli colpi del terrore, nè ad altro moral fine s’intende se non se ad altrui persuadere non doversi avvelenare nè assassinar la gente, per la ragione che tosto o tardi il maleficio si scuopre.

L’Anna ovvero l’Erede Galbese, e la Rosa ovvero la Fanciulla mendica alluogano madama Benet fra le più valenti romanziere: dachè nelle Opere sue si scorge molto ingegno nel ritrarre i caratteri e i costumi; grande interesse non pur nelle cose principali, ma nelle secondarie; belle e ricche incidenze, nuovi e piacevoli incontri, e fresche e dilettevoli dipinture. È ben tessuta generalmente la favola; se non che le cose non son tutte preparate nè spiegate bene.

Ancora con le dame che impiegarono finzioni ad abbellir la morale, si può contare madama [396] Cornelia Knight, la quale scrisse il Dinarba, continuando il Rasselas, la cui lettura agli stessi ammiratori di Johnson porse diletto; madama Opie, autrice di un romanzo assai compassionevole intitolato il Padre e la Figlia; madama Lennox, la quale compose il Don Chisciotte Femmina; madama Chiara Reeve, che produsse la Scuola delle Vedove e i Velci Baroni Inglesi; e finalmente miss Edgeworth, componitrice di novelle e romanzi morali, e di alcune Opere sopra la educazione in gran pregio tenute. Generalmente ciò che distingue i romanzi compilati dalle donne è un ardente amore della virtù, un dilicato riguardo di modestia, una continua cura di far alle femmine tutta la lor dignità sentire; e similmente l’arte di ritrarre le piccole cose come se tali non fossero, e di cogliere le più gentili dilicate differenze del sentimento, e di adoperare quella inestimabile sensibilità, fuor della quale non vige alcun ingegno, e che può talvolta a tutte le altre doti supplire. ◀Livello 1

1 De La Harpe, Oeuvres diverses, tom.4.