Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero XLI", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\041 (1761-06-24), pp. 169-172, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.426 [consultato il: ].


Livello 1►

N° XLI

A dì 24 giugno 1761.

Citazione/Motto► Hostis adest dextrâ, lævâque a parte timendus.

Ovid.

A destra e a sinistra ha un terribile nimico. ◀Citazione/Motto

Livello 2► Perchè non se’tu oggi quello che fosti ieri, e perchè non sarai tu domani quello che se’oggi? Così si potrebbe dire a certi uomini che scambiano umore d’ora in ora, anzi di minuto in minuto, tanto che a far conversazione con esso loro, per parecchi anni, egli è sempre come un conoscergli la prima volta: tanto riescono nuovi e variati di giorno in giorno. E quello che più mi sembra strano, si è ch’egli par loro di essere sempre una cosa medesima. Se oggidì, per esempio, uno di questi sì fatti è tranquillo, e parla del suo temperamento, tu l’odi a dire: Quanto è a me, non è cosa ch’io abbia più in odio del prendere alte-[170]razione di caso veruno. Bella mi pare la pace, e tento di serbarmela nel cuore, come il più caro e prezioso gioiello che sia al mondo. Io gli presto fede, e tanto più perchè gli veggo buonviso, odo parole gentili, e mostra buon garbo in tutto. Domani gli vo incontra con un saluto libero, con affabilità di parole, e trovo un aspide Dirà: Il temperamento mio non è uso a sofferire. Io era putto tant’alto, che diedi segno d’una certa delicatezza di cuore sensitivo. Mi sono allevato sempre ad un modo. Non sia chi m’offenda, che sono uno zolfanello. Ardo in un subito. Così tu lo trovi innamorato perduto un dì, che metterà le donne in cielo; un altro non può patire di vederle: e in somma non sa quello che voglia, chi sia, nè che si faccia. Non è al mondo difficoltà maggiore che l’aver faccenda con uno di tali uomini, co’quali non puoi apparecchiarti a nulla, e avrai del tutto a dipendere dal loro capriccio. Moglie, figliuoli, congiunti, amici, servidori, tutti sono impacciati. Mi par di vedere una di coteste femminette più presto mondane che del cielo, la quale per far che i suoi zerbini pensino sempre a lei, ora la si trova infermiccia, ora scherzevole, poi ingrogna, poi ride; appresso ti domanda una cosa, quando gliene arrechi, la gitta via, e per giunta ti svillaneggia della tua attenzione; sicchè stai seco sempre con due cuori in corpo, d’quali l’uno ti dice: Fa’: e l’altro, No: e intanto temi continuo di far male, e hai un tarlo che ti rode. Il medesimo costume io credo che sia tenuto per lo più artifiziosamente anche da cotesti uomini, ch’io chiamerò disuguali. Costoro parte sono e parte si mostrano lunatici, acciocchè i domestici e gli amici studiando come possano indovinarla in quelle tante diversità, pensino intanto sempre a’fatti loro, e abbiano una continua dipendenza dagli atti che fanno, dall’occhiate che danno, dalla prima parola ch’esce loro di bocca la mattina, tanto ch’insegnano strologia a chi gli pratica; e se uno avrà saputo vivere in lor compagnia parecchi anni, può leggere in cattedra di quest’arte. Avrei molti esempi da arrecare innanzi di sì fatti temperamenti, e sarebbe di necessità l’addurne alcuno, perchè dicono i maestri che non è cosa la quale più insegni dell’esempio. Ma un solo ne sceglierò, il quale ha in sè un certo che di piacevole, e mostrerà come uno di questi tali venisse deriso, e come fossero le sue fantasie gastigate da un bell’umore.

Livello 3►

Novella.

Livello 4► Racconto generale► Fu già un pittore, non mi ricorda ora in qual paese, il quale nell’essere capriccioso vinceva ciascun altro de’suoi pari; e comecchè nell’arte sua fosse valentuomo e perito, pure egli era continuamente così diverso da sè medesimo, che Giobbe si sarebbe disperato seco. Egli era sopra ogni altra cosa peritissimo nel fare ritratti, per modo che, dipingendo uno, parea la natura medesima che l’avesse rifatto; e se il pennello suo avesse potuto far parlare, non mancava altro a dire: Questa tela ha vita. Avrebb’egli avute le maggiori faccende della città, ma era così solennemente lunatico, che pochi volevano impacciarsi seco; perchè lasciamo stare ch’oggi egli volesse dipingere, e poi stesse quindici giorni che non voleva udirne a parlare (essendo questa quasi usanza comune di quell’arte); il peggio era che secondo il suo umore [171] volea che acconciassero la faccia coloro che andavano per farsi dipingere; tanto che s’oggi egli era lieto, egli ti facea adattare innanzi a sè con un sorriso fra le labbra, e così ti dipingeva quasi fino a mezzo; e se frattanto gli si alterava la fantasia, e gli veniva per l’animo qualche tristezza, cancellava ogni cosa, e volea che tu gli presentassi una faccia malinconica, e tornava da capo; nè mai avrebbe terminato un lavoro, che in parecchi dì non t’avesse fatto scambiare più volte, secondo ch’egli era dentro; tanto che non si sa com’egli potesse mai condurre alla fine un’opera con quella perfezione ch’egli facea. A ciò si potrebbe aggiungere il fastidio dell’essere, seco alle mani; perchè un giorno ti facea la più grata accoglienza del mondo; un altro, poco mancava che non ti mordesse o ti lanciasse pennelli e tinte nella faccia, e arrabbiava come un cane. Era costui divenuto sì celebre tanto per l’arte sua, quanto per le sue fantasie in tutta la città, che non v’avea chi nol conoscesse; e facendosi un giorno ragionamento di lui in un cerchio di persone, trovavasi quivi per caso un certo Pippo, uomo piuttosto volgare, ma di piacevole natura, e di motti e burle inventore così presto e caro, che in ogni luogo era richiesto e volentieri veduto. Udito Pippo le nuove cose che si raccontavano del valente pittore, disse: “A me, signori, darebbe l’animo di far vendetta di tutti quelli che furono da lui co’capricci suoi tribulati, se alcuno di voi mi vestisse per due ore in modo ch’io potessi parere qualche gran signore.” – “Sì, sì,” disse ognuno; e in breve gli fu promesso un vestito da farlo parere un re, non ch’altro, quando egli avesse voluto; ond’egli, quasi fosse pur giunto allora alla città, mandò un suo amico informato della faccenda al pittore, il quale gli dicesse le maraviglie di sua nobiltà e ricchezza, e gli promettesse non so quali centinaia di scudi per parte sua per fargli ritratto. Il suono di tanti scudi fu volentieri udito dal pittore; oltre a’quali non era anche picciola la speranza de’bei presenti che gli avea data il sensale; affermandogli che il forestiere non avea mai trovato in alcuna parte dell’Europa chi l’avesse saputo dipingere; e che avendo udita la sua gran fama, avea a bella posta varcato molto mare, e grande spazio di terra trascorso, per avere un ritratto di sua mano. Gli uomini più strani e bestiali all’udire danari, e all’essere grattati nell’ambizione, si rallegrano grandemente, e diventano di buon umore. Fecesi l’accordo; venne l’assegnato giorno, e Pippo andò alla casa del pittore, accompagnato da una mascherata di staffieri, vestito che parea un duca. Il pittore gli fece gentilissima accoglienza; Pippo gli fu grato, lo commendò della sua gran fama, si pose a sedere, trasse fuori un oriuolo d’oro, lo fe sonare, per saper, diceva, a quale ora si cominciava il ritratto; e nell’atteggiamento delle dita scoperse che l’erano fornite di splendidissime anella; e si pose a sedere. Il pittore noverava gli scudi con la memoria, e tanto più gli parea d’avergli in mano, perchè l’originale gli parea facile ad imitarsi. Avea Pippo un visaccio largo, con certi lineamenti, o piuttosto colpi sì fieri, che l’avrebbe quasi ritrattato ogni uomo col carbone: bocca larga, labbra grosse, colorito piuttosto pagonazzo che vermiglio, occhi grandi e celesti, e uno sperticato nasaccio, verso le ciglia schiacciato, e appuntato sopra la bocca. Ma la cosa non era però sì agevole, come avea il pittore stimato. Avea Pippo una certa attività di natura, da lui coltivata per muovere a riso, ch’egli quando il volea, potea con un picciolo urto della mano rivolgere la punta di quel suo nasaccio ora a destra e ora a sinistra, la [172] quale ora di qua, ora di là s’arrestava dov’egli volea, che vi parea piantata naturalmente. Postosi dunque dall’un lato Pippo a sedere, e accónciosi come dovea stare a volontà del pittore, incominciò questi a fare i suoi segni; adocchia il viso, adocchia la tela, mena la mano, era quasi condotto a fine il primo disegno. Parve a Pippo che fosse tempo; e dato d’urto con due dita furtivamente al naso, lo fece piegare dall’altra parte, come si farebbe d’una di quelle banderuole che s’appiccano alle lucerne. Il pittore, alzati gli occhi alla faccia, trova quella novità, e fra sè dice: “Ho io le traveggole? che ho io fatto qui?” indugia un poco, fregasi gli occhi, e tace; ma pur vedendo il naso contorto all’altro lato, e credendo che l’error fosse suo, si tacque, e acconciava il disegno. Pippo si stette a quel modo due ore, e il ritratto era già molto bene avanzato, ed era più volte anche levato in pie per vedere; e quando gli parve a proposito, ritocca di nuovo, e volta il naso dall’altra parte, che parea impiombato. Il pittore guarda, e smemora; chè gli parea d’essere impazzato. Pure tanto poteano nell’animo suo quegli scudi, ch’ebbe pazienza, e da due volte in su ritoccò ancora il ritratto; ma finalmente perduta la sofferenza, e non potendo più durare a vedere un naso che non istava mai saldo, gittato a terra i pennelli e la tela, gridò: “Cotesti nasi, che non sono stabili, vadano a farsi dipingere al diavolo.” – “E cotesti pittori,” rispose Pippo, “che non sono mai d’un umore, non abbiano altri nasi da dipingere.” E ognuno se n’andò a’fatti suoi, l’uno co’suoi capricci, e l’altro col suo naso a banderuola; l’uno a bestemmiare, e l’altro a ridere del passato accidente. ◀Racconto generale ◀Livello 4 ◀Livello 3

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Metatestualità► Signor Osservatore.

La novelletta da voi narrata della danza de’villani m’ha fatto invogliare d’udir qualche altra cosa di quella condizione di genti. Non sarebbe male che fossero anche i loro costumi osservati. Quella natura semplice è quasi lo sbozzo della bene educata. Essa diede alla poesia bellissimi argomenti, e l’egloghe e le rappresentazioni pastorali ci vennero di là. Avreste voi qualche cosa a questo proposito? Se l’avete, pubblicatela; credetemi che non sarà discara. Molti filosofi sotto il velame degli animali espressero varie cose utili alla morale. Plutarco fece ragionare le bestie con Ulisse; il Gelli prolungò l’invenzione nella sua Circe; il Firenzuola, seguendo altri filosofi, compose anch’egli ragionamenti di bestie. Avrebbe più del naturale il far ragionare uomini di villa. Pensateci, e vedrete ch’io dico il vero. State sano e credetemi vostro buon amico

S. R. ◀Metatestualità ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

L’Osservatore

Metatestualità► Certo io so che potrei con qualche invenzione metter mano anche ne’semplici costumi della villa, e dire qualche cosa di quelle genterelle allevatesi da sè, e che assecondano più la natura che altro. Ma chi mi scrive, o non sa, o non vuol considerare che noi siamo oggidì giunti ad una certa squisitezza, o piuttosto fastidio di pensare, che s’io ne scrivessi, potrei esserne avviato da chi legge a prendere la zappa e la vanga, e fare lo scrittore fra gli uomini di villa. Comecchè sia, do parola a chi mi scrisse, ch’io procurerò da qui in poi d’appagarlo, e di tentare al meno s’io vi potessi riuscire. Non pochi anni della mia giovinezza gli ho consumati fra’boschi e nelle campagne; tanto che ho avuto agio, secondo la mia inclinazione, d’osservare le usanze, non dico già di Titiro o di Dameta, che non s’usano oggidì più, ma dell’Appollonie, delle Mattee, delle Margherite, di Iacopo, di Gianni e di Simone; e s’io volessi comparare la vita loro con altre vite più grandi, avrei di che far vedere che tutto è una cosa; salvo che quivi non s’usano tante maschere, nè ceremonie nel mostrare quello ch’è dentro. Anche quivi sono riscaldati gli animi dall’interesse, dall’amore, dalla gelosia, e da altre punture che stimolano le viscere nelle città; ma escono fuori in altro modo. In somma, così scrivendo, mi vien voglia di dirvene qualche cosa; ma abbiate sofferenza ancora qualche poco tempo, perchè io mi sono obbligato per ora a rispondere alla polizza che segue. ◀Metatestualità

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Metatestualità► Signor Osservatore.

Fra l’altre buone qualità che si possono insegnare alle donne, ditemi s’egli fosse bene ch’esse imparassero un poco di poesia, e in qual forma avessero ad impararla. Non sarebbe cosa inutile che tralasciaste qualche volta di toccare i difetti degli uomini e delle donne, e cercaste piuttosto di dire quel che abbiano a fare per divenir migliori. Di tempo in tempo vi chiederò ora una cosa, ora un’altra sopra questo punto; e vi sarò grandemente obbligato se mi darete risposta. Fate sperienza. In tal guisa riusciranno più vari i vostri fogli, e diventeranno al pubblico più graditi. Son certo d’essere compiaciuto. Fatelo poi o con favole, o con allegorie, o con novelle, io ne lascio pensiero al capo vostro ghiribizzoso e malcontento di tenere le vie comuni. Addio. ◀Metatestualità ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1